05
Dall’inquietudine al rifugio
Diario di Volo
Un volo che inizia con incertezze meteo e tensione, tra venti forti e nuvole minacciose ma che si trasforma in un’avventura ricca di sfide e riflessioni. Dopo un atterraggio d’emergenza, la tranquillità arriva solo quando i protagonisti trovano rifugio, con la pioggia e il vento a fare da sfondo a un’esperienza che li segna profondamente.
Punti di interesse sorvolati
da Orbetello a Piombino
Un risveglio ventoso
L’aria nella stanza è più fredda del solito. Il vento sbatte contro le tapparelle con colpi irregolari, quasi inquietanti. Un brivido inspiegabile mi attraversa la schiena mentre mi rigiro tra le lenzuola. È una di quelle mattine in cui senti che qualcosa non va ma non sai ancora cosa.
Allungo la mano verso il comodino, prendo il telefono e controllo subito le previsioni meteo: le notizie non sono incoraggianti. Nubi compatte e vento in aumento segnalano un peggioramento deciso ma c’è ancora una possibilità. Se ci muoviamo subito dovremmo riuscire a decollare prima delle 10 e raggiungere l’Elba entro un’ora in tempo per evitare il peggioramento previsto dopo pranzo.
Mi volto verso Veronika che dorme ancora tranquillamente accanto a me. «Vero, svegliati» le dico sottovoce cercando di non spaventarla. Lei si stiracchia lentamente aprendo appena gli occhi. «Tutto ok?» mi chiede con voce ancora impastata dal sonno.
«C’è vento e le condizioni meteo non sembrano il massimo» le rispondo mantenendo un tono calmo ma diretto «ma possiamo farcela ad arrivare all’Elba se ci muoviamo adesso.»
Lei annuisce tirandosi su e iniziando a prepararsi. L’atmosfera nella stanza è sospesa tra eccitazione e incertezza. Mentre raccogliamo le ultime cose Skippy, ancora assonnata, ci osserva seduta in un angolo del letto con lo sguardo che segue ogni nostro movimento. Una volta caricati gli zaini, lei ci trotterella dietro meno vivace del solito ma pronta ad affrontare la giornata.
Dopo aver caricato tutto nel taxi, ci mettiamo in viaggio verso il campo volo dove avevamo lasciato il Cessna. Il tragitto è breve ma il tempo sembra dilatarsi. Guardo il cielo più volte mentre viaggiamo: non sembra minaccioso, solo una leggera coltre di nubi che si muove veloce accompagnata da una brezza persistente. Eppure quella brezza sembra insinuarsi nei miei pensieri, riportandomi sempre alla stessa domanda: «Stiamo facendo la scelta giusta?»
Pronti al decollo
Arrivati all’aviosuperficie, il vento scuote le fronde degli alberi e solleva piccoli vortici di polvere lungo la pista. Non è il miglior scenario per decollare ma decido di concentrarmi su ciò che posso controllare.
Dopo aver lasciato Veronika e Skippy a sistemare l’aereo, mi prendo un momento da solo. Seduto in cabina con tablet in una mano e caffè caldo nell’altra, osservo la rotta, segno mentalmente punti di atterraggio d’emergenza e ripasso i dettagli del meteo. Dedico più tempo del solito a questo passaggio, con un vago senso di urgenza che non riesco a ignorare.
Veronika, nel frattempo, sistema gli zaini con meticolosa attenzione. Skippy, solitamente euforica prima di un volo, oggi si aggira silenziosa accanto a lei, le orecchie tese a ogni raffica di vento.
Esco dalla cabina e mi avvicino, osservando il cielo. «Che dici, ce la facciamo?»
Veronika si ferma, alza lo sguardo al cielo e poi verso di me. «Non mi piace questo vento» ammette. «Sembra stia portando qualcosa di più grande. Potremmo ridurre il tempo in volo e saltare qualche punto di interesse.»
Annuisco. «Sì, meglio accorciare. Però niente voli diretti sull’acqua con questa situazione. Restiamo vicini alla costa.»
«Giusto.» Fa scorrere la cinghia dello zaino con più forza del necessario. «Hai un piano B?»
Sorrido appena. «Ne ho segnati almeno cinque.»
Annuisce con un mezzo sorriso. La nostra intesa funziona sempre.
Skippy punta il musetto verso di me, il pelo mosso dalle raffiche di vento. Poi solleva una zampetta con decisione, come se volesse confermare la scelta.
Dopo questo breve briefing e una rapida valutazione delle opzioni, decidiamo di procedere. Salgo in cabina mentre Veronika sistema le ultime cose e prepara Skippy per il decollo. Una volta dentro controllo ancora una volta gli strumenti. Il cielo sembra immobile, come se stesse aspettando di decidere il prossimo passo. Faccio un respiro profondo. «Siamo pronti» mormoro, più a me stesso che agli altri.
Ci spostiamo lentamente per allinearci alla pista in erba. Il rombo del motore copre quasi del tutto il sibilo del vento ma ogni tanto qualche raffica più forte si fa sentire anche all’interno della cabina. Skippy è accovacciata sul sedile posteriore, con gli occhi fissi sul parabrezza, mentre Veronika, accanto a me, stringe le mani sulle ginocchia: è pronta ma sa bene cosa ci aspetta.
Osservo la pista. Sembra più corta di quanto ricordassi. «Non voglio rischiare» penso. Tengo il freno di stazionamento inserito e spingo la manetta per portare il motore al massimo dei giri, solo quando sento il rombo pieno del Cessna rilascio il freno. «Via» dico, sentendo l’aereo che si anima sotto di noi. Fra poco saremo in volo.
La tensione è palpabile ma il coraggio di prendere decisioni difficili segna il nostro passo verso una crescita.

In volo sopra la laguna
Decolliamo con una splendida vista sulla laguna di Orbetello che si apre di fronte a noi, accogliendoci appena le ruote si staccano da terra. Il cielo sopra di noi, pur con qualche nuvola, non appare minaccioso e il vento, sebbene presente, non crea difficoltà significative al controllo del Cessna. La luce del mattino filtra attraverso le nubi illuminando l’Argentario che ora scorre alla nostra sinistra con sfumature argentee.
All’inizio tutto procede senza intoppi ma non appena le prime raffiche, un po’ più forti, colpiscono il velivolo Veronika sussulta. «Va tutto bene» le dico cercando di trasmetterle tranquillità mentre le metto una mano sulla sua. Dentro di me cresce la tensione, il peso della responsabilità su ogni mio movimento. Lei annuisce ma le sue mani restano ancorate alle gambe, i pollici che si muovono in piccoli cerchi, un gesto inconscio per alleviare il nervosismo.
Dietro di noi Skippy si comporta in modo strano. Solitamente infatti, superata la fase di salita, si libera agilmente delle cinture e inizia a muoversi sui sedili posteriori, esplorando il panorama dai finestrini. Oggi, invece, è immobile. Il suo sguardo fisso sul parabrezza, il muso rigido e attento, tradisce una tensione che non riesce a nascondere. Non sembra felice dei movimenti irregolari dell’aereo e probabilmente percepisce il nervosismo mio e di Veronika. Ma, da pilota autoproclamata, fa del suo meglio per mantenere la calma.
«Guardate la laguna.» La superficie dell’acqua scintilla, riflettendo la luce diffusa del cielo coperto. «Bello vederla sotto una luce diversa.»
«È veramente magnifica» mormora Veronika, riuscendo finalmente a respirare e rilassarsi. Prende la fotocamera e scatta qualche foto catturando la laguna e l’Argentario sullo sfondo. Anche il tono della sua voce cambia avvicinandosi al suo solito entusiasmo.
La tensione cresce sotto il cielo apparentemente sereno, mentre ogni raffica di vento aumenta la responsabilità che grava sul pilota

Verso la Maremma
Il volo procede silenzioso. La tensione è palpabile e ognuno di noi è immerso nei propri pensieri. Davanti a noi il Parco Regionale della Maremma inizia a prendere forma con le sue colline verdi che scivolano verso una costa frastagliata.
Talamone, arroccato sulla costa, con le sue antiche mura che si affacciano sul mare mi dà uno spunto per rompere il silenzio. Lo indico a Veronika «Guarda, quello è Talamone» le dico con tono calmo. «Un borgo piccolo ma con una storia immensa. Da qui partì Garibaldi con i Mille.»
Veronika osserva il borgo inclinando leggermente la testa. «Devo dire che è decisamente suggestiva.»
«Sì» continuo «e immagina Garibaldi mentre arriva qui nel 1860, deciso a partire per l’impresa di unificare l’Italia. La storia racconta che si fermò a Talamone per raccogliere armi e rinforzi, approfittando della posizione strategica del porto. Un punto così piccolo ma cruciale per il destino dell’Italia.»
«E non è solo il borgo» aggiungo, indicando le colline intorno. «Il Parco Regionale della Maremma che lo circonda è uno dei gioielli naturali della Toscana. È una riserva protetta, con spiagge selvagge, pinete e persino mandrie di bovini maremmani. Se ami la natura è un posto che non puoi perdere. Ci sono sentieri che portano fino alle torri di avvistamento lungo la costa, tutte risalenti al Medioevo.»
Lo sguardo di Veronika si perde tra il mare e le colline. «Dev’essere bello camminare qui tra la storia e la natura.»
Talamone, piccolo borgo testimone di un passato che ha scritto la storia d’Italia, si staglia sulla costa come un punto di riferimento per i sogni di unificare il paese.

Proprio mentre superiamo la costa di Talamone il cielo sopra di noi comincia a ingrigirsi maggiormente. Le nuvole si abbassano lentamente e il vento aumenta di intensità scuotendo il Cessna con scossoni più decisi. Veronika si irrigidisce leggermente, le mani che si stringono sulle ginocchia, tuttavia resta composta.
Un sobbalzo improvviso ci scuote proprio mentre la radio rompe il silenzio. «Qui ATC Grosseto» arriva una voce ferma ma chiara. «SWA-172, suggeriamo salita a 2.000 piedi per evitare turbolenze in zona. Confermate?»
Veronika parla nel microfono con prontezza. «Confermiamo, ATC Grosseto. Procediamo con salita a 2.000 piedi» risponde con voce calma, ma sento la tensione nelle sue parole.
Inizio a salire inclinando leggermente il velivolo e virando verso Grosseto come indicato dal controllore. Il vento sopra le colline del parco è più insistente e ogni raffica richiede attenzione per mantenere l’assetto.
Il Cessna si comporta bene, siamo però consapevoli che il meteo sta rapidamente cambiando e che potrebbe riservarci ancora altre sorprese.
Un viaggio tra la storia e la natura, dove il Parco Regionale della Maremma ti invita a scoprire la sua essenza, tra colline verdi e spiagge selvagge

Sopra Grosseto: Una città stellata
«Quello è l’aeroporto militare di Grosseto, la sede del 4° Stormo Caccia. È uno dei reparti più prestigiosi e storici dell’Aeronautica Militare Italiana. Lo conosci?» chiedo a Veronika mentre ci avviciniamo a Grosseto.
Veronika osserva attentamente la lunga pista visibile tra i campi. «No, raccontami di più!»
Sorrido, felice di condividere ciò che so. «Il 4° Stormo è stato fondato nel 1931 ed è famoso per il suo simbolo: il Cavallino Rampante. È lo stesso che trovi sulla Scuderia Ferrari perché fu concesso da Francesco Baracca, un asso dell’aviazione durante la Prima Guerra Mondiale. Oggi il reparto è equipaggiato con gli Eurofighter Typhoon, caccia avanzati che si occupano sia della difesa dello spazio aereo italiano sia di missioni internazionali.»
«Che storia interessante» risponde Veronika. «Dev’essere incredibile pilotare quei velivoli.»
«Mi piacerebbe tantissimo» confesso. «Ogni decollo da qui è un esempio di precisione e preparazione. È uno dei luoghi chiave per la sicurezza dello spazio aereo italiano.»
«Guarda, quello invece è il centro storico di Grosseto. Le sue mura furono costruite dai Medici nel Cinquecento. Ieri prima di dormire ho letto che erano parte di un progetto di difesa per proteggere la città dai pirati e dagli attacchi esterni, soprattutto lungo la costa.»
Veronika osserva attentamente. «Sono incredibili. Quelle mura sembrano quasi moderne nella loro precisione geometrica.»
«Esatto, sono fortificazioni a pianta stellare, tra le migliori in Italia. Se non sbaglio facevano parte di un sistema difensivo voluto dai Medici per proteggere la città. Dentro quelle mura c’è anche il Cassero Senese, un baluardo militare che serviva come avamposto e punto di controllo. Oggi è un museo e credo racconti bene la storia difensiva della città. E poi c’è la Cattedrale di San Lorenzo, costruita sopra una chiesa più antica. Dev’essere interessante vederla, perché ha mescolato stili diversi nel tempo.»
Veronika con lo sguardo che tradisce ancora un velo di inquietudine. «Sì, mi piacerebbe. È incredibile pensare quanta storia ci sia in ogni angolo d’Italia.»
Il cielo sopra Grosseto racconta la storia di un passato che non smette mai di guardare avanti, tra la protezione delle mura e la difesa del nostro spazio aereo

«Che dici, continuiamo o facciamo un giro sopra la città?» le chiedo.
Veronika scuote leggermente la testa. «Meglio proseguire» risponde con convinzione. «Il cielo non promette bene e non possiamo rischiare.»
Viro verso la prossima meta, Follonica, e noto che il cielo sta cambiando rapidamente. Le nubi si abbassano e si fanno più dense assumendo tonalità grigio scuro che sembrano divorare la luce. Il vento aumenta di intensità colpendo il Cessna con raffiche improvvise che fanno oscillare il velivolo. Ogni scossone si fa più deciso e ogni movimento richiede correzioni più precise.
Veronika, seduta accanto a me, stringe le mani sulle gambe. Quando un colpo d’aria particolarmente forte scuote l’aereo, allunga la mano verso di me cercando un contatto rassicurante. Le sorrido, anche se dentro di me la tensione cresce come la sua. «Sta decisamente peggiorando» le dico mantenendo lo sguardo sugli strumenti. «Ma siamo ancora in grado di gestirlo. Il Cessna regge bene.»
Lei annuisce ma il suo silenzio dice più di mille parole. Gli scossoni si susseguono senza tregua e ogni rumore del vento che colpisce la fusoliera sembra amplificato nella cabina.
«Continuiamo verso Follonica» le dico, stringendo saldamente i comandi. La mia voce è ferma ma dentro sento una crescente inquietudine che spero di poter nascondere fino all’atterraggio. Il cielo si stringe intorno a noi e la luce diminuisce a ogni miglio percorso. So che stiamo entrando in un territorio incerto, dove ogni decisione sarà cruciale. Il margine di errore si fa sottile e la consapevolezza che il meteo potrebbe riservarci il peggio mi accompagna come un’ombra.

Verso Follonica
Mentre ci lasciamo Grosseto alle spalle, davanti a noi le colline di Punta Ala sembrano restringere il cielo, lasciandoci appena lo spazio per passare tra la terra e le nuvole che si abbassano minacciose. Il vento adesso scuote il Cessna con raffiche sempre più intense.
Veronika mi guarda, cercando di mascherare la preoccupazione. «Non pensavo fosse così… intenso.»
«Nemmeno io pensavo sarebbe peggiorato così in fretta» le rispondo, mantenendo un tono calmo mentre il vento cerca di spingere l’aereo fuori rotta. «Le montagne incanalano il vento, appena le superiamo potrebbe calmarsi un po’.»
Ma non succede.
Il Cessna sobbalza come una foglia nel vento. Le raffiche colpiscono la fusoliera da direzioni imprevedibili e, ogni volta che provo a correggere la rotta, il velivolo sembra ribellarsi. Le mie mani sono salde sui comandi ma sento il sudore scivolare lungo la schiena. Questa non è la solita turbolenza. Questo è qualcosa di più.
Arriviamo quasi a Follonica quando le prime gocce di pioggia iniziano a picchiettare sul parabrezza. «Ecco, ci siamo» mormoro, sapendo che la situazione sta per complicarsi. Nel giro di pochi minuti la pioggia si trasforma in un vero e proprio acquazzone, riducendo drasticamente la visibilità e rendendo ancora più evidente la forza del vento.
La cabina è avvolta in un’atmosfera tesa, con il suono martellante della pioggia che si mescola al ruggito del motore. Gli scossoni diventano più violenti, facendo oscillare l’aereo come se stesse lottando per ogni metro conquistato. Ogni controllo richiede uno sforzo maggiore e il timore di perdere il controllo si insinua nei miei pensieri. Skippy è immobile. Il suo sguardo è fisso sul parabrezza, come se capisse l’urgenza della situazione.
Veronika si sporge leggermente per guardare fuori. «Hai visto quel lampo?!» esclama, indicando un bagliore a distanza. Poco dopo, un forte tuono ci raggiunge facendo tremare la cabina.
«Li ho visti e li ho sentiti» rispondo, stringendo ancora di più i comandi. «Dobbiamo decidere presto come muoverci. Questo peggioramento è molto più rapido del previsto. Piombino è più avanti e poi dovremmo dirigerci verso l’Elba ma già ora non si vede per nulla, coperta dalle nuvole e dalla pioggia. Ci sono anche lampi minacciosi proprio in quella direzione.»
Il ruggito del motore sembra lottare contro il fragore dei tuoni mentre avanzo con cautela verso Follonica, come da piano di volo. Dentro di me so che ogni scelta da qui in avanti sarà cruciale. Ogni secondo è un passo più vicino a una decisione che potrebbe cambiare tutto.
Il cielo sopra Follonica ci costringe a prendere una decisione, ad agire lottando allo stesso tempo contro le nostre paure per restare lucidi.

Rotta verso Piombino
Superiamo Follonica seguendo la rotta prestabilita. Il mare sotto di noi è agitato, con onde alte che si infrangono contro la riva come se volessero divorare la terra. La pioggia, ormai costante, tamburella sul parabrezza mentre il vento scuote il Cessna con scatti improvvisi che ci fanno sobbalzare.
Non arriveremo all’Elba oggi.
Stringo i comandi e prendo fiato. «Dobbiamo cambiare piano. Veronika, imposta una nuova rotta per il campo volo fuori Piombino. È la nostra migliore opzione.»
Lei si volta verso di me con uno sguardo concentrato. Nei mesi prima di questo viaggio, mentre io prendevo il brevetto, lei studiava ogni procedura per poter aiutare. Ora è il momento di mettere tutto in pratica.
«Pensa a pilotare, ci penso io» dice, afferrando il tablet e lavorando rapidamente.
La cabina è avvolta in un silenzio inquietante, interrotto solo dalla pioggia e dal rombo del motore che lotta contro le raffiche. Ogni scossone aumenta la tensione, la visibilità si riduce sempre più. Un fulmine squarcia il cielo. Il tuono che segue fa vibrare la fusoliera.
«Rotta impostata» dice Veronika dopo pochi istanti, riposizionando il tablet. Controllo il Garmin G1000 e annuisco. «Perfetto» dico, inclinando il Cessna verso la nuova direzione. «Ottimo lavoro.»
Mentre ci riavviciniamo alla costa, le nuvole sembrano aprirsi appena. Qualche raggio di sole filtra tra gli strati di pioggia e, per un breve istante, un arcobaleno appare all’orizzonte. È un’immagine splendida, segno di un buon auspicio, tuttavia la tensione non cala.
Veronika stringe la mia gamba, quasi senza accorgersene.
Mi concentro. Ripasso mentalmente la posizione e la lunghezza della pista d’atterraggio. Oggi ogni dettaglio conta.
«Spero di identificarla al primo colpo» mormoro, gli occhi fissi sugli strumenti e sul terreno che si avvicina. «Non abbiamo margine per un errore.»
Ogni vibrazione, ogni raffica di vento ci mette alla prova. Ogni decisione è cruciale.
Piombino, tra la forza della natura e quella del nostro coraggio, ci spinge a trovare la rotta giusta, anche quando il cielo non è nostro alleato

Atterraggio d’emergenza
La pioggia diventa un muro quasi impenetrabile mentre ci avviciniamo al campo volo. La visibilità è ridotta al minimo e ogni goccia che si infrange sul parabrezza sembra voler rendere la mia giornata ancora più complicata. Il cielo sopra di noi è plumbeo, il vento continua a spingere il Cessna, eppure mi concentro sul terreno. Non posso permettermi di perdere la pista, di non vederla e non capire come allinearmi. Controllo il tablet che indica la posizione dell’aereo e della pista e cerco disperatamente, tra la pioggia, un punto di riferimento guardando fuori dal finestrino.
Ed eccola. O almeno credo. Intravedo un’area rettangolare tra il verde e il grigio della campagna. Non sono sicuro al cento per cento ma non ho alternative: quella deve essere la pista o comunque un campo idoneo per un atterraggio di emergenza, senza alberi di intralcio.
«Ci siamo» mormoro con un filo di voce.
Effettuo una virata decisa per allinearmi alla direzione del campo volo. Il cuore mi batte forte mentre scendo di quota cercando di mantenere il Cessna stabile nonostante la turbolenza.
Veronika è immobile. Le nocche bianche mentre stringe le ginocchia, gli occhi fissi davanti a sé. Ogni muscolo del suo corpo è teso. Quando il Cessna subisce uno scossone più forte, la sua mano scatta involontariamente verso di me, come se cercasse un appiglio nel vuoto.
Skippy non si muove. È accovacciata sul sedile posteriore, le orecchie incollate alla testa, gli occhi spalancati e persi su un punto indefinito davanti a sé. Respira piano, troppo piano. È la prima volta che la vedo davvero spaventata.
La pioggia, ora, sembra quasi volermi accecare. Ogni movimento richiede uno sforzo enorme e il timore di perdere la pista mi stringe lo stomaco. Durante la virata finale sento l’allarme sonoro:
«STALL, STALL.»
Il vento ci sta rallentando troppo. Un brivido mi attraversa ma stringo i comandi con fermezza. Sul finale noto una strada a ridosso della pista: passo appena sopra di essa e per un attimo temo di essere sceso troppo in basso.
E poi lo vedo chiaramente. Il fango.
La pista è piena di pozzanghere, l’acqua stagnante la trasforma in una superficie tutt’altro che ideale per un atterraggio. Non ci avevo pensato questa mattina durante lo studio delle carte. Non ci avevo pensato. Mi sento uno stupido. Un brivido mi percorre la schiena.
«Il fango…» esclamo, ma non posso più fare nulla. Siamo troppo vicini.
L’altimetro scende troppo in fretta. La pista è lì ma la pioggia la trasforma in un’illusione sfocata. Un colpo di vento ci spinge di lato e il mio cuore salta un battito. Correggo ma il fango sotto di noi aspetta, pronto a inghiottirci.
Un respiro profondo. Mi preparo all’impatto.
Il Cessna trema sotto le mani. Ogni muscolo del mio corpo è teso, le dita aggrappate ai comandi con una forza che mi fa male alle nocche. Il cuore martella nelle orecchie, più forte del motore. Poi, un’improvvisa raffica di vento ci spinge di lato e il tempo rallenta: il terreno sale troppo in fretta, la pista diventa una macchia indistinta di fango e pioggia. Correggo, correggo ancora. Il velivolo sobbalza, le vibrazioni si propagano lungo la struttura, rimbalzano nelle ossa.
Il contatto con il terreno è più duro di quanto mi aspettassi e immediatamente il velivolo inizia a ballare sulla pista. Le ruote scivolano nel fango, il Cessna oscilla da una parte all’altra come se stesse lottando per rimanere in piedi. Ogni correzione richiede una prontezza quasi istintiva.
Rallentiamo. Progressivamente. Ancora interi. Ancora in sicurezza.
Un silenzio irreale avvolge la cabina, interrotto solo dal ticchettio della pioggia sul tettuccio. Dopo qualche istante tiro un lungo respiro e chiudo gli occhi.
«Siamo a terra. Siamo vivi.»
Veronika si lascia andare contro il sedile, lo sguardo ancora fisso davanti a sé.
«Ce l’abbiamo fatta» mormoro, quasi incredulo, spegnendo lentamente il motore. Siamo al sicuro. Almeno per ora.
Un atterraggio che ci riporta a terra, dove ogni dettaglio, ogni scelta, fa la differenza per ritrovare la sicurezza in un mare di incertezze.

Un momento per respirare
Mi prendo un attimo per calmarmi. Il motore è spento, il rombo costante che ci ha accompagnati per tutto il viaggio è ormai un ricordo, ma la pioggia continua a tamburellare sul tettuccio del Cessna, riempiendo l’aria di un suono incessante. Mi volto verso Veronika, ancora tesa, lo sguardo fisso davanti a sé. Poi mi accorgo di qualcosa.
«E Skippy?»
Non l’ho più sentita muoversi o emettere un suono da un po’. Mi giro verso il sedile posteriore e la trovo lì, immobile, ancora con la cintura allacciata. Gli occhi fissi, il muso rigido. Anche la sua coda, di solito in perenne movimento, è completamente ferma.
«Skippy?» la chiamo piano. Nessuna reazione.
Veronika si volta e le accarezza la testa. Solo allora noto che sta tremando leggermente.
«È sotto shock» sussurra, come se avesse letto il mio pensiero.
Cerco di spezzare la tensione. «Ehi, siamo a terra» dico con un sorriso forzato. «Tutto passato. Non è stato facile, ma abbiamo fatto un ottimo lavoro.»
Skippy sbatte le palpebre, poi si lancia su di me, stringendosi forte al mio collo. Veronika, senza dire nulla, si avvicina e ci avvolge entrambi in un abbraccio, stringendoci come se volesse sigillare il momento. Restiamo così per qualche secondo, senza parlare, lasciando che la tensione scivoli via.
Un silenzio assoluto avvolge la cabina. Non il solito silenzio dopo l’atterraggio, ma uno denso, quasi irreale. Solo il respiro ancora affannato riempie lo spazio. Per un istante, tutto sembra sospeso, poi un suono familiare si insinua tra le pareti di metallo: la pioggia sul tettuccio. È lo stesso rumore di prima, eppure ora sembra diverso. Più lontano. Più innocuo. L’adrenalina inizia a scendere, lasciando spazio a una stanchezza improvvisa e travolgente.
Troviamo un rifugio
Fuori, la pioggia continua a trasformare il campo volo in una distesa di fango. Restare qui non è un’opzione.
Prendo il telefono e chiamo il gestore del campo. La sua voce è gentile, abituata a emergenze come questa. «Non si preoccupi, ho un’amica che vive a due passi. È una signora anziana, molto ospitale. Vi aiuterà. L’avviso subito.»
Segno il numero e aspetto qualche minuto prima di chiamarla, lasciando il tempo al gestore di informarla su di noi. Quando la contatto, risponde subito, la sua voce calda e rassicurante sembra quasi attutire il rumore della pioggia.
«Venite pure» dice con naturalezza, come se ci stesse già aspettando. «Vi preparo qualcosa di caldo.»
Aspettiamo che la pioggia si plachi un po’, poi ci incamminiamo con fatica nel fango. Il Cessna è al sicuro per la notte. Skippy, poco convinta di questa passeggiata nel pantano, mi si arrampica sulle spalle, stringendo le zampe al petto per non bagnarsi.
La casa è vicina, praticamente all’interno del campo volo, del quale sembra farne parte. La porta si apre prima ancora che possiamo bussare. La signora ci attende sulla soglia con un sorriso genuino, come se fossimo amici di vecchia data. Alle sue spalle, una luce calda illumina il corridoio e l’odore di erbe e legno bruciato si mescola all’umidità della pioggia. Anche prima di varcare la soglia, sappiamo di essere al sicuro.
Indossa un vecchio scialle di lana, avvolto attorno alle spalle con la naturalezza di chi ha visto molte stagioni passare da quella porta. I capelli, bianchi e raccolti in un morbido chignon, incorniciano un viso segnato dal tempo ma pieno di calore. Con un gesto automatico, allunga una mano verso Skippy, accarezzandole la testa senza esitazione, come se sapesse già che ha bisogno di quel contatto. «Coraggio, entrate» dice con un sorriso tranquillo «qui dentro c’è sempre posto per chi arriva dalla tempesta.»
Ci fermiamo un istante prima di varcare la soglia. Con gesti rapidi ci togliamo le scarpe infangate e le lasciamo fuori, pulendoci alla meglio prima di entrare. Non servono parole: è un piccolo segno di rispetto per chi ci sta accogliendo.
Non appena entriamo, il profumo di tisana e legno ci avvolge come una coperta calda. Il camino acceso getta bagliori dorati sul pavimento e il contrasto con il freddo e il caos della tempesta è quasi irreale.
Skippy si raggomitola su un tappeto vicino al fuoco, le orecchie basse, ancora un po’ tesa.
La pioggia tamburella ancora sul tetto, ma qui dentro è solo un suono lontano. Per la prima volta dopo ore, siamo davvero al sicuro.
Riassunto
In questo volo Camillo e Veronika affrontano un viaggio pieno di incertezze, a partire dal risveglio turbato da venti forti e condizioni meteo difficili. Nonostante il clima inclemente, la coppia decide di partire, consapevole dei rischi ma determinata a proseguire. Durante il volo sopra la laguna di Orbetello e la Maremma, le condizioni peggiorano rapidamente, ma la risolutezza di Camillo e il supporto reciproco permettono loro di prendere decisioni cruciali, incluso un atterraggio d’emergenza. L’arrivo in un campo di volo non pianificato porta un momento di sollievo e riflessione, mentre la pioggia e l’oscurità offrono un contrasto alla sicurezza raggiunta. Il viaggio si conclude con un’accoglienza calorosa e la promessa di proseguire nonostante le sfide.
verso nuove storie da raccontare.