Skip to main content

05 – Diario di volo Orbetello Piombino

Un risveglio ventoso

L’aria nella stanza è più fredda del solito. Il vento sbatte contro le tapparelle con colpi irregolari, quasi inquietanti. Un brivido inspiegabile mi attraversa la schiena mentre mi rigiro tra le lenzuola. È una di quelle mattine in cui senti che qualcosa non va ma non sai ancora cosa.
Allungo la mano verso il comodino, prendo il telefono e controllo subito le previsioni meteo: le notizie non sono incoraggianti. Nubi compatte e vento in aumento segnalano un peggioramento deciso ma c’è ancora una possibilità. Se ci muoviamo subito dovremmo riuscire a decollare prima delle 10 e raggiungere l’Elba entro un’ora in tempo per evitare il peggioramento previsto dopo pranzo.
Mi volto verso Veronika che dorme ancora tranquillamente accanto a me. «Vero, svegliati» le dico sottovoce cercando di non spaventarla. Lei si stiracchia lentamente aprendo appena gli occhi. «Tutto ok?» mi chiede con voce ancora impastata dal sonno.
«C’è vento e le condizioni meteo non sembrano il massimo» le rispondo mantenendo un tono calmo ma diretto «ma possiamo farcela ad arrivare all’Elba se ci muoviamo adesso.»
Lei annuisce tirandosi su e iniziando a prepararsi. L’atmosfera nella stanza è sospesa tra eccitazione e incertezza. Mentre raccogliamo le ultime cose Skippy, ancora assonnata, ci osserva seduta in un angolo del letto con lo sguardo che segue ogni nostro movimento. Una volta caricati gli zaini, lei ci trotterella dietro meno vivace del solito ma pronta ad affrontare la giornata.

Dopo aver caricato tutto nel taxi, ci mettiamo in viaggio verso il campo volo dove avevamo lasciato il Cessna. Il tragitto è breve ma il tempo sembra dilatarsi. Guardo il cielo più volte mentre viaggiamo: non sembra minaccioso, solo una leggera coltre di nubi che si muove veloce accompagnata da una brezza persistente. Eppure quella brezza sembra insinuarsi nei miei pensieri, riportandomi sempre alla stessa domanda: «Stiamo facendo la scelta giusta?»

Pronti al decollo

Arrivati all’aviosuperficie, il vento scuote le fronde degli alberi e solleva piccoli vortici di polvere lungo la pista. Non è il miglior scenario per decollare ma decido di concentrarmi su ciò che posso controllare.
Dopo aver lasciato Veronika e Skippy a sistemare l’aereo, mi prendo un momento da solo. Seduto in cabina con tablet in una mano e caffè caldo nell’altra, osservo la rotta, segno mentalmente punti di atterraggio d’emergenza e ripasso i dettagli del meteo. Dedico più tempo del solito a questo passaggio, con un vago senso di urgenza che non riesco a ignorare.

Veronika, nel frattempo, sistema gli zaini con meticolosa attenzione. Skippy, solitamente euforica prima di un volo, oggi si aggira silenziosa accanto a lei, le orecchie tese a ogni raffica di vento.
Esco dalla cabina e mi avvicino, osservando il cielo. «Che dici, ce la facciamo?»
Veronika si ferma, alza lo sguardo al cielo e poi verso di me. «Non mi piace questo vento» ammette. «Sembra stia portando qualcosa di più grande. Potremmo ridurre il tempo in volo e saltare qualche punto di interesse.»
Annuisco. «Sì, meglio accorciare. Però niente voli diretti sull’acqua con questa situazione. Restiamo vicini alla costa
«Giusto.» Fa scorrere la cinghia dello zaino con più forza del necessario. «Hai un piano B?»
Sorrido appena. «Ne ho segnati almeno cinque.»
Annuisce con un mezzo sorriso. La nostra intesa funziona sempre.
Skippy punta il musetto verso di me, il pelo mosso dalle raffiche di vento. Poi solleva una zampetta con decisione, come se volesse confermare la scelta.

Dopo questo breve briefing e una rapida valutazione delle opzioni, decidiamo di procedere. Salgo in cabina mentre Veronika sistema le ultime cose e prepara Skippy per il decollo. Una volta dentro controllo ancora una volta gli strumenti. Il cielo sembra immobile, come se stesse aspettando di decidere il prossimo passo. Faccio un respiro profondo. «Siamo pronti» mormoro, più a me stesso che agli altri.

Ci spostiamo lentamente per allinearci alla pista in erba. Il rombo del motore copre quasi del tutto il sibilo del vento ma ogni tanto qualche raffica più forte si fa sentire anche all’interno della cabina. Skippy è accovacciata sul sedile posteriore, con gli occhi fissi sul parabrezza, mentre Veronika, accanto a me, stringe le mani sulle ginocchia: è pronta ma sa bene cosa ci aspetta.

Osservo la pista. Sembra più corta di quanto ricordassi. «Non voglio rischiare» penso. Tengo il freno di stazionamento inserito e spingo la manetta per portare il motore al massimo dei giri, solo quando sento il rombo pieno del Cessna rilascio il freno. «Via» dico, sentendo l’aereo che si anima sotto di noi. Fra poco saremo in volo.

La tensione è palpabile ma il coraggio di prendere decisioni difficili segna il nostro passo verso una crescita.

decollo dalla pista in erba vicino Orbetello (foto flight simulator 2024)

In volo sopra la laguna

Decolliamo con una splendida vista sulla laguna di Orbetello che si apre di fronte a noi, accogliendoci appena le ruote si staccano da terra. Il cielo sopra di noi, pur con qualche nuvola, non appare minaccioso e il vento, sebbene presente, non crea difficoltà significative al controllo del Cessna. La luce del mattino filtra attraverso le nubi illuminando l’Argentario che ora scorre alla nostra sinistra con sfumature argentee.

All’inizio tutto procede senza intoppi ma non appena le prime raffiche, un po’ più forti, colpiscono il velivolo Veronika sussulta. «Va tutto bene» le dico cercando di trasmetterle tranquillità mentre le metto una mano sulla sua. Dentro di me cresce la tensione, il peso della responsabilità su ogni mio movimento. Lei annuisce ma le sue mani restano ancorate alle gambe, i pollici che si muovono in piccoli cerchi, un gesto inconscio per alleviare il nervosismo.

Dietro di noi Skippy si comporta in modo strano. Solitamente infatti, superata la fase di salita, si libera agilmente delle cinture e inizia a muoversi sui sedili posteriori, esplorando il panorama dai finestrini. Oggi, invece, è immobile. Il suo sguardo fisso sul parabrezza, il muso rigido e attento, tradisce una tensione che non riesce a nascondere. Non sembra felice dei movimenti irregolari dell’aereo e probabilmente percepisce il nervosismo mio e di Veronika. Ma, da pilota autoproclamata, fa del suo meglio per mantenere la calma.

«Guardate la laguna.» La superficie dell’acqua scintilla, riflettendo la luce diffusa del cielo coperto. «Bello vederla sotto una luce diversa.»

«È veramente magnifica» mormora Veronika, riuscendo finalmente a respirare e rilassarsi. Prende la fotocamera e scatta qualche foto catturando la laguna e l’Argentario sullo sfondo. Anche il tono della sua voce cambia avvicinandosi al suo solito entusiasmo.

La tensione cresce sotto il cielo apparentemente sereno, mentre ogni raffica di vento aumenta la responsabilità che grava sul pilota

la laguna di Orbetello (foto flight simulator 2024)

Verso la Maremma

Il volo procede silenzioso. La tensione è palpabile e ognuno di noi è immerso nei propri pensieri. Davanti a noi il Parco Regionale della Maremma inizia a prendere forma con le sue colline verdi che scivolano verso una costa frastagliata.

Talamone, arroccato sulla costa, con le sue antiche mura che si affacciano sul mare mi dà uno spunto per rompere il silenzio. Lo indico a Veronika «Guarda, quello è Talamone» le dico con tono calmo. «Un borgo piccolo ma con una storia immensa. Da qui partì Garibaldi con i Mille

Veronika osserva il borgo inclinando leggermente la testa. «Devo dire che è decisamente suggestiva.»
«Sì» continuo «e immagina Garibaldi mentre arriva qui nel 1860, deciso a partire per l’impresa di unificare l’Italia. La storia racconta che si fermò a Talamone per raccogliere armi e rinforzi, approfittando della posizione strategica del porto. Un punto così piccolo ma cruciale per il destino dell’Italia.»

«E non è solo il borgo» aggiungo, indicando le colline intorno. «Il Parco Regionale della Maremma che lo circonda è uno dei gioielli naturali della Toscana. È una riserva protetta, con spiagge selvagge, pinete e persino mandrie di bovini maremmani. Se ami la natura è un posto che non puoi perdere. Ci sono sentieri che portano fino alle torri di avvistamento lungo la costa, tutte risalenti al Medioevo
Lo sguardo di Veronika si perde tra il mare e le colline. «Dev’essere bello camminare qui tra la storia e la natura.»

Talamone, piccolo borgo testimone di un passato che ha scritto la storia d’Italia, si staglia sulla costa come un punto di riferimento per i sogni di unificare il paese.

Talomone visto dal Cessna (foto flight simulator 2024)

Proprio mentre superiamo la costa di Talamone il cielo sopra di noi comincia a ingrigirsi maggiormente. Le nuvole si abbassano lentamente e il vento aumenta di intensità scuotendo il Cessna con scossoni più decisi. Veronika si irrigidisce leggermente, le mani che si stringono sulle ginocchia, tuttavia resta composta.

Un sobbalzo improvviso ci scuote proprio mentre la radio rompe il silenzio. «Qui ATC Grosseto» arriva una voce ferma ma chiara. «SWA-172, suggeriamo salita a 2.000 piedi per evitare turbolenze in zona. Confermate?»

Veronika parla nel microfono con prontezza. «Confermiamo, ATC Grosseto. Procediamo con salita a 2.000 piedi» risponde con voce calma, ma sento la tensione nelle sue parole.
Inizio a salire inclinando leggermente il velivolo e virando verso Grosseto come indicato dal controllore. Il vento sopra le colline del parco è più insistente e ogni raffica richiede attenzione per mantenere l’assetto.

Il Cessna si comporta bene, siamo però consapevoli che il meteo sta rapidamente cambiando e che potrebbe riservarci ancora altre sorprese.

Un viaggio tra la storia e la natura, dove il Parco Regionale della Maremma ti invita a scoprire la sua essenza, tra colline verdi e spiagge selvagge

la costa del parco regionale della Maremma vista dal cessna (foto flight simulator 2024)

Sopra Grosseto: Una città stellata

«Quello è l’aeroporto militare di Grosseto, la sede del 4° Stormo Caccia. È uno dei reparti più prestigiosi e storici dell’Aeronautica Militare Italiana. Lo conosci?» chiedo a Veronika mentre ci avviciniamo a Grosseto.

Veronika osserva attentamente la lunga pista visibile tra i campi. «No, raccontami di più!»

Sorrido, felice di condividere ciò che so. «Il 4° Stormo è stato fondato nel 1931 ed è famoso per il suo simbolo: il Cavallino Rampante. È lo stesso che trovi sulla Scuderia Ferrari perché fu concesso da Francesco Baracca, un asso dell’aviazione durante la Prima Guerra Mondiale. Oggi il reparto è equipaggiato con gli Eurofighter Typhoon, caccia avanzati che si occupano sia della difesa dello spazio aereo italiano sia di missioni internazionali.»

«Che storia interessante» risponde Veronika. «Dev’essere incredibile pilotare quei velivoli.»

«Mi piacerebbe tantissimo» confesso. «Ogni decollo da qui è un esempio di precisione e preparazione. È uno dei luoghi chiave per la sicurezza dello spazio aereo italiano.»

«Guarda, quello invece è il centro storico di Grosseto. Le sue mura furono costruite dai Medici nel Cinquecento. Ieri prima di dormire ho letto che erano parte di un progetto di difesa per proteggere la città dai pirati e dagli attacchi esterni, soprattutto lungo la costa.»

Veronika osserva attentamente. «Sono incredibili. Quelle mura sembrano quasi moderne nella loro precisione geometrica.»

«Esatto, sono fortificazioni a pianta stellare, tra le migliori in Italia. Se non sbaglio facevano parte di un sistema difensivo voluto dai Medici per proteggere la città. Dentro quelle mura c’è anche il Cassero Senese, un baluardo militare che serviva come avamposto e punto di controllo. Oggi è un museo e credo racconti bene la storia difensiva della città. E poi c’è la Cattedrale di San Lorenzo, costruita sopra una chiesa più antica. Dev’essere interessante vederla, perché ha mescolato stili diversi nel tempo.»

Veronika con lo sguardo che tradisce ancora un velo di inquietudine. «Sì, mi piacerebbe. È incredibile pensare quanta storia ci sia in ogni angolo d’Italia.»

Il cielo sopra Grosseto racconta la storia di un passato che non smette mai di guardare avanti, tra la protezione delle mura e la difesa del nostro spazio aereo

vista delle mura del centro storico di Grosseto (foto flight simulator 2024)

«Che dici, continuiamo o facciamo un giro sopra la città?» le chiedo.

Veronika scuote leggermente la testa. «Meglio proseguire» risponde con convinzione. «Il cielo non promette bene e non possiamo rischiare.»

Viro verso la prossima meta, Follonica, e noto che il cielo sta cambiando rapidamente. Le nubi si abbassano e si fanno più dense assumendo tonalità grigio scuro che sembrano divorare la luce. Il vento aumenta di intensità colpendo il Cessna con raffiche improvvise che fanno oscillare il velivolo. Ogni scossone si fa più deciso e ogni movimento richiede correzioni più precise.

Veronika, seduta accanto a me, stringe le mani sulle gambe. Quando un colpo d’aria particolarmente forte scuote l’aereo, allunga la mano verso di me cercando un contatto rassicurante. Le sorrido, anche se dentro di me la tensione cresce come la sua. «Sta decisamente peggiorando» le dico mantenendo lo sguardo sugli strumenti. «Ma siamo ancora in grado di gestirlo. Il Cessna regge bene.»

Lei annuisce ma il suo silenzio dice più di mille parole. Gli scossoni si susseguono senza tregua e ogni rumore del vento che colpisce la fusoliera sembra amplificato nella cabina.

«Continuiamo verso Follonica» le dico, stringendo saldamente i comandi. La mia voce è ferma ma dentro sento una crescente inquietudine che spero di poter nascondere fino all’atterraggio. Il cielo si stringe intorno a noi e la luce diminuisce a ogni miglio percorso. So che stiamo entrando in un territorio incerto, dove ogni decisione sarà cruciale. Il margine di errore si fa sottile e la consapevolezza che il meteo potrebbe riservarci il peggio mi accompagna come un’ombra.

il cielo che minaccia tempesta (foto flight simulator 2024)

Verso Follonica

Mentre ci lasciamo Grosseto alle spalle, davanti a noi le colline di Punta Ala sembrano restringere il cielo, lasciandoci appena lo spazio per passare tra la terra e le nuvole che si abbassano minacciose. Il vento adesso scuote il Cessna con raffiche sempre più intense.

Veronika mi guarda, cercando di mascherare la preoccupazione. «Non pensavo fosse così… intenso.»

«Nemmeno io pensavo sarebbe peggiorato così in fretta» le rispondo, mantenendo un tono calmo mentre il vento cerca di spingere l’aereo fuori rotta. «Le montagne incanalano il vento, appena le superiamo potrebbe calmarsi un po’.»

Ma non succede.

Il Cessna sobbalza come una foglia nel vento. Le raffiche colpiscono la fusoliera da direzioni imprevedibili e, ogni volta che provo a correggere la rotta, il velivolo sembra ribellarsi. Le mie mani sono salde sui comandi ma sento il sudore scivolare lungo la schiena. Questa non è la solita turbolenza. Questo è qualcosa di più.

Arriviamo quasi a Follonica quando le prime gocce di pioggia iniziano a picchiettare sul parabrezza. «Ecco, ci siamo» mormoro, sapendo che la situazione sta per complicarsi. Nel giro di pochi minuti la pioggia si trasforma in un vero e proprio acquazzone, riducendo drasticamente la visibilità e rendendo ancora più evidente la forza del vento.

La cabina è avvolta in un’atmosfera tesa, con il suono martellante della pioggia che si mescola al ruggito del motore. Gli scossoni diventano più violenti, facendo oscillare l’aereo come se stesse lottando per ogni metro conquistato. Ogni controllo richiede uno sforzo maggiore e il timore di perdere il controllo si insinua nei miei pensieri. Skippy è immobile. Il suo sguardo è fisso sul parabrezza, come se capisse l’urgenza della situazione.

Veronika si sporge leggermente per guardare fuori. «Hai visto quel lampo?!» esclama, indicando un bagliore a distanza. Poco dopo, un forte tuono ci raggiunge facendo tremare la cabina.

«Li ho visti e li ho sentiti» rispondo, stringendo ancora di più i comandi. «Dobbiamo decidere presto come muoverci. Questo peggioramento è molto più rapido del previsto. Piombino è più avanti e poi dovremmo dirigerci verso l’Elba ma già ora non si vede per nulla, coperta dalle nuvole e dalla pioggia. Ci sono anche lampi minacciosi proprio in quella direzione.»

Il ruggito del motore sembra lottare contro il fragore dei tuoni mentre avanzo con cautela verso Follonica, come da piano di volo. Dentro di me so che ogni scelta da qui in avanti sarà cruciale. Ogni secondo è un passo più vicino a una decisione che potrebbe cambiare tutto.

Il cielo sopra Follonica ci costringe a prendere una decisione, ad agire lottando allo stesso tempo contro le nostre paure per restare lucidi.

pioggia sopra Follonica (foto flight simulator 2020)

Rotta verso Piombino

Superiamo Follonica seguendo la rotta prestabilita. Il mare sotto di noi è agitato, con onde alte che si infrangono contro la riva come se volessero divorare la terra. La pioggia, ormai costante, tamburella sul parabrezza mentre il vento scuote il Cessna con scatti improvvisi che ci fanno sobbalzare.

Non arriveremo all’Elba oggi.

Stringo i comandi e prendo fiato. «Dobbiamo cambiare piano. Veronika, imposta una nuova rotta per il campo volo fuori Piombino. È la nostra migliore opzione.»

Lei si volta verso di me con uno sguardo concentrato. Nei mesi prima di questo viaggio, mentre io prendevo il brevetto, lei studiava ogni procedura per poter aiutare. Ora è il momento di mettere tutto in pratica.

«Pensa a pilotare, ci penso io» dice, afferrando il tablet e lavorando rapidamente.

La cabina è avvolta in un silenzio inquietante, interrotto solo dalla pioggia e dal rombo del motore che lotta contro le raffiche. Ogni scossone aumenta la tensione, la visibilità si riduce sempre più. Un fulmine squarcia il cielo. Il tuono che segue fa vibrare la fusoliera.

«Rotta impostata» dice Veronika dopo pochi istanti, riposizionando il tablet. Controllo il Garmin G1000 e annuisco. «Perfetto» dico, inclinando il Cessna verso la nuova direzione. «Ottimo lavoro.»

Mentre ci riavviciniamo alla costa, le nuvole sembrano aprirsi appena. Qualche raggio di sole filtra tra gli strati di pioggia e, per un breve istante, un arcobaleno appare all’orizzonte. È un’immagine splendida, segno di un buon auspicio, tuttavia la tensione non cala.

Veronika stringe la mia gamba, quasi senza accorgersene.

Mi concentro. Ripasso mentalmente la posizione e la lunghezza della pista d’atterraggio. Oggi ogni dettaglio conta.

«Spero di identificarla al primo colpo» mormoro, gli occhi fissi sugli strumenti e sul terreno che si avvicina. «Non abbiamo margine per un errore.»

Ogni vibrazione, ogni raffica di vento ci mette alla prova. Ogni decisione è cruciale.

Piombino, tra la forza della natura e quella del nostro coraggio, ci spinge a trovare la rotta giusta, anche quando il cielo non è nostro alleato

momento in cui prendiamo la decisione di virare verso Piombino (foto flight simulator 2024)

Atterraggio d’emergenza

La pioggia diventa un muro quasi impenetrabile mentre ci avviciniamo al campo volo. La visibilità è ridotta al minimo e ogni goccia che si infrange sul parabrezza sembra voler rendere la mia giornata ancora più complicata. Il cielo sopra di noi è plumbeo, il vento continua a spingere il Cessna, eppure mi concentro sul terreno. Non posso permettermi di perdere la pista, di non vederla e non capire come allinearmi. Controllo il tablet che indica la posizione dell’aereo e della pista e cerco disperatamente, tra la pioggia, un punto di riferimento guardando fuori dal finestrino.

Ed eccola. O almeno credo. Intravedo un’area rettangolare tra il verde e il grigio della campagna. Non sono sicuro al cento per cento ma non ho alternative: quella deve essere la pista o comunque un campo idoneo per un atterraggio di emergenza, senza alberi di intralcio.

«Ci siamo» mormoro con un filo di voce.

Effettuo una virata decisa per allinearmi alla direzione del campo volo. Il cuore mi batte forte mentre scendo di quota cercando di mantenere il Cessna stabile nonostante la turbolenza.

Veronika è immobile. Le nocche bianche mentre stringe le ginocchia, gli occhi fissi davanti a sé. Ogni muscolo del suo corpo è teso. Quando il Cessna subisce uno scossone più forte, la sua mano scatta involontariamente verso di me, come se cercasse un appiglio nel vuoto.

Skippy non si muove. È accovacciata sul sedile posteriore, le orecchie incollate alla testa, gli occhi spalancati e persi su un punto indefinito davanti a sé. Respira piano, troppo piano. È la prima volta che la vedo davvero spaventata.

La pioggia, ora, sembra quasi volermi accecare. Ogni movimento richiede uno sforzo enorme e il timore di perdere la pista mi stringe lo stomaco. Durante la virata finale sento l’allarme sonoro:

«STALL, STALL.»

Il vento ci sta rallentando troppo. Un brivido mi attraversa ma stringo i comandi con fermezza. Sul finale noto una strada a ridosso della pista: passo appena sopra di essa e per un attimo temo di essere sceso troppo in basso.

E poi lo vedo chiaramente. Il fango.

La pista è piena di pozzanghere, l’acqua stagnante la trasforma in una superficie tutt’altro che ideale per un atterraggio. Non ci avevo pensato questa mattina durante lo studio delle carte. Non ci avevo pensato. Mi sento uno stupido. Un brivido mi percorre la schiena.

«Il fango…» esclamo, ma non posso più fare nulla. Siamo troppo vicini.

L’altimetro scende troppo in fretta. La pista è lì ma la pioggia la trasforma in un’illusione sfocata. Un colpo di vento ci spinge di lato e il mio cuore salta un battito. Correggo ma il fango sotto di noi aspetta, pronto a inghiottirci.

Un respiro profondo. Mi preparo all’impatto.

Il Cessna trema sotto le mani. Ogni muscolo del mio corpo è teso, le dita aggrappate ai comandi con una forza che mi fa male alle nocche. Il cuore martella nelle orecchie, più forte del motore. Poi, un’improvvisa raffica di vento ci spinge di lato e il tempo rallenta: il terreno sale troppo in fretta, la pista diventa una macchia indistinta di fango e pioggia. Correggo, correggo ancora. Il velivolo sobbalza, le vibrazioni si propagano lungo la struttura, rimbalzano nelle ossa.

Il contatto con il terreno è più duro di quanto mi aspettassi e immediatamente il velivolo inizia a ballare sulla pista. Le ruote scivolano nel fango, il Cessna oscilla da una parte all’altra come se stesse lottando per rimanere in piedi. Ogni correzione richiede una prontezza quasi istintiva.

Rallentiamo. Progressivamente. Ancora interi. Ancora in sicurezza.

Un silenzio irreale avvolge la cabina, interrotto solo dal ticchettio della pioggia sul tettuccio. Dopo qualche istante tiro un lungo respiro e chiudo gli occhi.

«Siamo a terra. Siamo vivi.»

Veronika si lascia andare contro il sedile, lo sguardo ancora fisso davanti a sé.

«Ce l’abbiamo fatta» mormoro, quasi incredulo, spegnendo lentamente il motore. Siamo al sicuro. Almeno per ora.

Un atterraggio che ci riporta a terra, dove ogni dettaglio, ogni scelta, fa la differenza per ritrovare la sicurezza in un mare di incertezze.

il momento poco prima dell’atterraggio (foto flight simulator 2024)

Un momento per respirare

Mi prendo un attimo per calmarmi. Il motore è spento, il rombo costante che ci ha accompagnati per tutto il viaggio è ormai un ricordo, ma la pioggia continua a tamburellare sul tettuccio del Cessna, riempiendo l’aria di un suono incessante. Mi volto verso Veronika, ancora tesa, lo sguardo fisso davanti a sé. Poi mi accorgo di qualcosa.

«E Skippy?»

Non l’ho più sentita muoversi o emettere un suono da un po’. Mi giro verso il sedile posteriore e la trovo lì, immobile, ancora con la cintura allacciata. Gli occhi fissi, il muso rigido. Anche la sua coda, di solito in perenne movimento, è completamente ferma.

«Skippy?» la chiamo piano. Nessuna reazione.

Veronika si volta e le accarezza la testa. Solo allora noto che sta tremando leggermente.

«È sotto shock» sussurra, come se avesse letto il mio pensiero.

Cerco di spezzare la tensione. «Ehi, siamo a terra» dico con un sorriso forzato. «Tutto passato. Non è stato facile, ma abbiamo fatto un ottimo lavoro.»

Skippy sbatte le palpebre, poi si lancia su di me, stringendosi forte al mio collo. Veronika, senza dire nulla, si avvicina e ci avvolge entrambi in un abbraccio, stringendoci come se volesse sigillare il momento. Restiamo così per qualche secondo, senza parlare, lasciando che la tensione scivoli via.

Un silenzio assoluto avvolge la cabina. Non il solito silenzio dopo l’atterraggio, ma uno denso, quasi irreale. Solo il respiro ancora affannato riempie lo spazio. Per un istante, tutto sembra sospeso, poi un suono familiare si insinua tra le pareti di metallo: la pioggia sul tettuccio. È lo stesso rumore di prima, eppure ora sembra diverso. Più lontano. Più innocuo. L’adrenalina inizia a scendere, lasciando spazio a una stanchezza improvvisa e travolgente.

Troviamo un rifugio

Fuori, la pioggia continua a trasformare il campo volo in una distesa di fango. Restare qui non è un’opzione.

Prendo il telefono e chiamo il gestore del campo. La sua voce è gentile, abituata a emergenze come questa. «Non si preoccupi, ho un’amica che vive a due passi. È una signora anziana, molto ospitale. Vi aiuterà. L’avviso subito.»

Segno il numero e aspetto qualche minuto prima di chiamarla, lasciando il tempo al gestore di informarla su di noi. Quando la contatto, risponde subito, la sua voce calda e rassicurante sembra quasi attutire il rumore della pioggia.

«Venite pure» dice con naturalezza, come se ci stesse già aspettando. «Vi preparo qualcosa di caldo.»

Aspettiamo che la pioggia si plachi un po’, poi ci incamminiamo con fatica nel fango. Il Cessna è al sicuro per la notte. Skippy, poco convinta di questa passeggiata nel pantano, mi si arrampica sulle spalle, stringendo le zampe al petto per non bagnarsi.

La casa è vicina, praticamente all’interno del campo volo, del quale sembra farne parte. La porta si apre prima ancora che possiamo bussare. La signora ci attende sulla soglia con un sorriso genuino, come se fossimo amici di vecchia data. Alle sue spalle, una luce calda illumina il corridoio e l’odore di erbe e legno bruciato si mescola all’umidità della pioggia. Anche prima di varcare la soglia, sappiamo di essere al sicuro.

Indossa un vecchio scialle di lana, avvolto attorno alle spalle con la naturalezza di chi ha visto molte stagioni passare da quella porta. I capelli, bianchi e raccolti in un morbido chignon, incorniciano un viso segnato dal tempo ma pieno di calore. Con un gesto automatico, allunga una mano verso Skippy, accarezzandole la testa senza esitazione, come se sapesse già che ha bisogno di quel contatto. «Coraggio, entrate» dice con un sorriso tranquillo «qui dentro c’è sempre posto per chi arriva dalla tempesta.»

Ci fermiamo un istante prima di varcare la soglia. Con gesti rapidi ci togliamo le scarpe infangate e le lasciamo fuori, pulendoci alla meglio prima di entrare. Non servono parole: è un piccolo segno di rispetto per chi ci sta accogliendo.

Non appena entriamo, il profumo di tisana e legno ci avvolge come una coperta calda. Il camino acceso getta bagliori dorati sul pavimento e il contrasto con il freddo e il caos della tempesta è quasi irreale.

Skippy si raggomitola su un tappeto vicino al fuoco, le orecchie basse, ancora un po’ tesa.

La pioggia tamburella ancora sul tetto, ma qui dentro è solo un suono lontano. Per la prima volta dopo ore, siamo davvero al sicuro.

04 + Diario di viaggio Giglio

Una mattina di entusiasmo

Non è la sveglia a tirarci giù dal letto, ma Skippy. Con un’energia incontenibile, salta tra le coperte, emettendo piccoli versi eccitati e spingendo la zampa contro Veronika, impaziente come una bambina la mattina di Natale.

Ridiamo, ancora mezzi addormentati, mentre lei si sporge curiosa verso la finestra, convinta di poter già vedere l’elicottero.

«Ok, ok, piccola esploratrice, ci siamo…» dico stiracchiandomi.

Veronika mi lancia uno sguardo assonnato ma divertito, mentre Skippy trotterella per la stanza, il musetto rivolto verso la porta, già pronta a partire.

Io sbadiglio. «Mi piace vederti felice, piccolina… ma prima ho bisogno di un caffè.»

In pochi minuti siamo fuori, diretti verso il centro di Orbetello in cerca di un bar. La città ci accoglie con il tepore delle prime luci del mattino, il silenzio interrotto solo dai suoni della vita che riprende piano.

Davanti alla laguna, con una tazza fumante tra le mani, il programma della giornata prende forma.

«Alle 10.45 il pilota ci aspetta poco fuori dal centro» dico, cercando di mostrarmi calmo, anche se dentro sento il peso di ciò che dovrò fare.

«Sarà speciale» aggiungo, lanciando un’occhiata al cielo limpido. «Intanto godiamoci la mattinata. Orbetello merita una passeggiata.»

Skippy non ha bisogno della sveglia. Quando c’è un volo in programma è lei a decidere quando inizia la giornata.

piazza del plebiscito Orbetello (foto invacanzaallargentario.it )

Orbetello

Finita la colazione, lasciamo il bar e ci immergiamo nelle strade tranquille del centro storico di Orbetello. L’aria è fresca, ancora intrisa della quiete mattutina, e il profumo del mare si mescola a quello delle prime botteghe che aprono le loro porte.

Il primo punto di interesse che incontriamo è la Porta Medina Coeli, un ingresso imponente che conserva ancora i segni del passato. Veronika alza lo sguardo e indica un dettaglio.

«Guarda, sopra l’arco c’è ancora lo stemma degli Spagnoli» dice con entusiasmo. «L’ho letto ieri sera prima di dormire. Era uno degli ingressi principali quando Orbetello era sotto il loro controllo.»

Orbetello racconta la sua storia in ogni pietra, in ogni riflesso sulla laguna. Qui il tempo non si è fermato: ha semplicemente imparato a scorrere piano.

mulino spagnolo di Orbetello (foto di invacanzaallargentario.it)

Proseguiamo lungo il corso principale, tra piccole botteghe e case dai colori caldi, fino a raggiungere la punta del borgo. Davanti a noi si apre la Diga Leopoldina, il confine tra la terra e l’acqua.

Veronika si ferma e osserva la laguna con un sorriso curioso. «Sai, questa città ha sempre avuto un rapporto particolare con il mare. Non solo per il commercio, ma anche per il volo…» Si volta verso di me con un’espressione pensierosa. «Lo sapevi che un tempo qui decollavano gli aerei?»

Mi fermo, inarcando un sopracciglio. «Dalla diga?»

«No, dall’acqua…» balbetta, cercando il termine giusto. «Quei… quegli aerei che atterrano e decollano dal mare…»

Rifletto un attimo. «Ah… gli idrovolanti? Quindi qui c’era un idroscalo?»

Veronika schiocca le dita. «Esatto! L’idroscalo di Orbetello! L’ho letto ieri. Negli anni ’30 da qui partirono missioni transatlantiche incredibili. La più famosa? Quella di Italo Balbo e la sua squadriglia, che solcò l’oceano senza strumenti moderni, solo con il coraggio e la determinazione di veri pionieri.»

Mi fermo a immaginare quel periodo e le dico:

«Effettivamente, non avendo bisogno di una pista, la laguna offriva loro spazio, calma e un decollo più morbido.»

«Sì, ma pensa alle condizioni in cui volavano» aggiunge Veronika. «Niente radar, niente GPS, solo una bussola e carte approssimative. Eppure hanno attraversato l’oceano.»

«Oggi ci sentiamo avventurosi solo perché sorvoliamo qualche isola con un tablet di bordo e un GPS al metro. Loro invece si lanciavano nel vuoto, senza sapere se sarebbero tornati.» aggiungo.

Veronika sorride. «Noi seguiamo rotte sicure. Loro hanno disegnato il cielo.»

A volte cerchiamo l’esotico lontano, dimenticando che la meraviglia è spesso più vicina di quanto pensiamo.

fenicotteri rosa nella laguna di Orbetello (foto invacanzaallargentario.it)

Rimaniamo per un attimo in silenzio, lasciando che la laguna ci restituisca l’immagine di un’altra epoca. Poi Veronika indica un punto più avanti.

«Guarda, i Mulini Spagnoli

Mi volto per osservare meglio le antiche strutture in mezzo all’acqua. Il loro aspetto è fuori dal tempo, come se appartenessero a un’altra epoca.

«Sembrano sospesi tra il passato e il presente.»

«Li usavano per macinare il grano con la sola forza del vento. Oggi sono uno dei simboli più particolari di Orbetello.» mi racconta lei, indicando poi degli uccelli poco lontani, fermi sulla laguna.

«Fenicotteri. Sono bellissimi.»

«Anche loro usano l’idroscalo» scherzo, osservando un paio di fenicotteri che scivolano sull’acqua con grazia. «Sai che la maggior parte degli italiani non sa nemmeno che in Italia ci sono i fenicotteri?» le faccio notare, mentre la osservo scattare delle foto.

«È vero» conferma Veronika. «Pensiamo sempre a posti esotici, e invece certe meraviglie sono proprio dietro casa. Come quella volta a Comacchio, quando non credevo davvero che li avremmo visti.»

Skippy drizza le orecchie di colpo, gli occhi puntati al cielo.

«Tranquilla, non è ancora il nostro elicottero» la rassicuro con una carezza.

«Ma lo sarà presto» aggiunge Veronika con un sorriso.

Proseguiamo il cammino, con il sole ormai alto sopra di noi e l’adrenalina che inizia a farsi sentire.

Mulino di Orbetello (foto invacanzaallargentario.it)

L’arrivo del Cabri

Spostandoci verso il punto di atterraggio, attraversiamo Piazza del Duomo, dove la Cattedrale di Santa Maria Assunta si staglia con la sua facciata sobria, segnata dai secoli. Le sue fondamenta poggiano sui resti di un antico tempio romano, e nel tempo ha subito trasformazioni che le hanno dato un aspetto unico.

«Sai che questo è uno degli edifici più antichi di Orbetello?» dice Veronika, osservandola con attenzione. «Ha dettagli che mescolano influenze diverse, dalle linee romaniche a tocchi gotici. E sotto di noi potrebbe esserci ancora un pezzo della storia romana.»

«Interessante» rispondo, apprezzando come riesca sempre a notare particolari che mi sfuggono. Il mio sguardo si sposta presto verso l’orizzonte: un rumore inconfondibile si avvicina.

Il battito delle pale dell’elicottero rompe l’aria e Skippy salta entusiasta, quasi travolta dall’emozione. Il piccolo Cabri celeste e giallo appare sopra di noi, scendendo lentamente verso l’area di atterraggio designata. L’erba si piega sotto il vento, mentre la polvere si solleva in vortici sottili. Skippy, con gli occhialoni indossati, osserva la scena con il musetto rivolto verso l’alto, il pelo scompigliato ma lo sguardo fisso sul velivolo.

Il pilota spegne il motore e scende, camminando basso a passo svelto verso di me.

«Camillo, piacere di conoscerti di persona» dice con un sorriso, tendendomi la mano. «Io sono Luca, ci siamo sentiti al telefono. Siete pronti?»

Stringo la sua mano con fermezza, ma le dita tradiscono una leggera tensione. Sento il palmo un po’ più umido del solito e mi schiarisco la gola prima di rispondere.

«Sì, penso di sì.»

Luca mi osserva con attenzione, come se leggesse oltre le mie parole.

«Non preoccuparti. Il vento oggi tira un po’ più del solito, ma il Cabri lo regge benissimo. Devi solo rilassarti e seguire quello che sai già.»

Inspiro a fondo, cercando di sciogliere la tensione. «Grazie, ci proverò.»

«Ah, e un consiglio» aggiunge Luca, abbassando il tono di voce. «Attenti al rientro: la nebbia qui arriva all’improvviso e può cancellare ogni punto di riferimento. Non è il massimo se non hai familiarità con questa zona.»

Un nuovo strato di ansia si insinua dentro di me, sottile ma persistente. Cerco di scrollarlo di dosso con un rapido sguardo al cielo, che per ora è limpido, e ne prendo nota mentale per il ritorno.

«Il mio amico vi aspetta al Giglio» prosegue Luca. «L’elicottero lo potete lasciare nel suo giardino, proprio sopra Giglio Porto. Se ne occuperà lui fino a quando tornerete. È abituato a queste cose, quindi tranquilli.»

«Sì, mi ricordo, ti ringrazio.» rispondo, cercando di mostrarmi più sicuro di quanto mi senta.

Luca annuisce soddisfatto. «Perfetto. Io resterò qui fino al vostro ritorno. Non c’è fretta. Godetevi la giornata. Avvisatemi solo quando state per ripartire.»

Skippy, che fino a quel momento scalpitava accanto a Veronika, le salta in braccio, pronta per partire.

«Tranquilla, piccola, siamo quasi pronti» le dice Veronika, accarezzandole la testa.

Mi avvicino al Cabri, facendo un rapido controllo visivo e cercando di concentrarmi sui gesti meccanici. Respiro, passo mentalmente in rassegna la check-list, ma le parole di Luca sulla nebbia mi tornano in mente. Veronika mi osserva per un attimo e, come se avesse intuito qualcosa, mi sorride.

«Andrà tutto bene» le dico.

Ma forse è più un promemoria per me stesso.

Con il Cabri pronto a portarci in questa nuova avventura, il mare e l’Isola del Giglio ci aspettano. Sento che questa sarà una giornata indimenticabile.

Ogni nuovo decollo porta con sé un brivido: l’emozione dell’ignoto e la fiducia di poterlo affrontare

il piccolo Cabri pronto per il decollo (foto flight simulator 2024)

Dentro al Cabri

Veronika si avvicina all’elicottero con la stessa sicurezza di quando sale su un Cessna, istintivamente tenta di entrare dal lato destro.

«Ehi, aspetta un attimo» le dico con un sorriso. «Sai qual è la prima grande differenza? In elicottero il pilota sta a destra.»

Lei si ferma ridendo e passa dall’altro lato, mentre Skippy, già tra le sue braccia, osserva l’elicottero con l’aria di chi sta per entrare in una nuova dimensione.

Una volta saliti, ci sistemiamo con le cinture di sicurezza e indossiamo le cuffie per le comunicazioni. Lo spazio è più raccolto rispetto al Cessna, e il parabrezza avvolgente ci offre una visione quasi totale del mondo fuori.

Luca, ancora in piedi accanto al portellone aperto, si sporge verso di me.

«Ok, Camillo, questo modello ha qualche differenza rispetto a quello su cui hai preso il brevetto» spiega con calma. «Il Cabri G2 è più leggero e sensibile rispetto ai modelli più grandi. È reattivo nei movimenti laterali e richiede più precisione nelle correzioni. Cerca di dosare il ciclico con delicatezza e ricorda che il collettivo risponde bene anche con pochi input.»

Annuisco mentre cerco di interiorizzare i suoi consigli. Pilotare un elicottero è diverso da un aereo: la stabilità è minore, ogni movimento è amplificato e la sensazione di controllo è più diretta, quasi istintiva, ma richiede un’attenzione costante.

Mi giro verso Veronika e Skippy, che seguono il nostro scambio con espressioni confuse.

«Avete ragione ragazze, vi spiego cosa stiamo dicendo» dico sorridendo. «Il ciclico è questa leva davanti a me: controlla la direzione, come uno sterzo, ma su tutti gli assi, quindi avanti, indietro, destra e sinistra. Il collettivo, invece, è questa leva qui alla mia sinistra e regola la potenza e l’altitudine. Se lo alzo, saliamo, se lo abbasso, scendiamo. E poi ci sono i pedali, che servono per controllare il rotore di coda e mantenere la direzione.»

Veronika scuote la testa ridendo. «Ok, ora mi è tutto chiarissimo» dice ironicamente.

Skippy, invece, inclina la testa con aria seria, come se stesse prendendo memoria di queste informazioni.

Luca ride. «Non preoccuparti, Veronika. Camillo sa il fatto suo. E tu, Skippy, sembri già pronta per diventare copilota.»

Luca mi spiega come affrontare l’atterraggio e gestire il vento. Assimilo ogni dettaglio mentre avvio i sistemi.

Il rumore del rotore inizia a crescere, accompagnato da leggere vibrazioni che riempiono la cabina. Le lancette degli indicatori si spostano una dopo l’altra sul verde, segnalando che tutto è in ordine.

Con le mani ferme sui comandi, osservo il rotore raggiungere i giri previsti. Luca si è allontanato, portandosi in un’area di sicurezza. Gli faccio un cenno con il pollice in su, lui ricambia il gesto con un sorriso e mi osserva attentamente.

Pronto a decollare, respiro profondamente.

«Ok, ci siamo!» dico attraverso le cuffie.

L’adrenalina cresce insieme al ronzio dei rotori, riempiendo la cabina di aspettativa.

Ogni volo inizia con un battito d’ali invisibile: quello dell’adrenalina che sale prima di staccarsi da terra.

decollati da Ortobello (foto flight simulator 2024)

Decollo verso Porto Santo Stefano

Con un leggero movimento del collettivo, il Cabri G2 si solleva da terra. La risposta è immediata: il decollo è fluido, quasi sospeso, diverso dalla corsa su pista di un Cessna.

Veronika stringe leggermente le mani sulle ginocchia e sorride, guardandomi con stupore.

«Che strana sensazione… È come un ascensore, ma più leggero. Come se ci staccassimo dal mondo senza strappi.»

Dal parabrezza, il paesaggio si spalanca davanti a noi. La laguna di Orbetello scorre piano e il mare, increspato dal vento, si distende all’orizzonte.

Mi concentro sui comandi mentre mi lascio andare a un pensiero ad alta voce.

«L’elicottero per me è come la moto. Amo potermi muovere in ogni direzione, senza vincoli.»

Veronika ha gli occhi fissi sul panorama.

«Sì, peccato che fare un giro del mondo in elicottero sarebbe stato logisticamente impossibile.»

Le onde si frangono dolcemente sulle sponde del Tombolo della Giannella mentre Veronika riflette ad alta voce.

«Anche la dinamica del volo è diversa. È fluida, verticale. Non sembra di attraversare il cielo, sembra di farne parte.»

Annuisco, mantenendo l’attenzione sugli strumenti.

«Non pilotavo un elicottero da quando ho preso il brevetto, ma è come andare in bicicletta. I movimenti tornano naturali.»

«E non sei nemmeno un po’ teso?» mi chiede Veronika, curiosa.

«Forse un po’. Ma è una tensione buona. Ti tiene vigile.» le rispondo, cercando di sembrare il più tranquillo possibile.

Il Cabri procede sicuro, superando leggere turbolenze, mentre Porto Santo Stefano si avvicina e le sue case colorate iniziano a spiccare contro il blu intenso del mare.

Il parabrezza trasparente amplifica la vista, regalandoci l’impressione di fluttuare nel vuoto.

Volare in elicottero è come galleggiare tra cielo e terra, senza pareti a separarti dall’infinito

Porto Santo Stefano visto dal Cabri (foto flight simulator 2024)

Porto Santo Stefano e il volo verso il Giglio

Sorvoliamo la costa poco distante da Porto Santo Stefano, seguendo il profilo frastagliato della terra che si tuffa nel mare. Il porto è un mosaico in movimento: pescherecci, velieri e yacht moderni si intrecciano in una danza lenta tra gli ormeggi.

Veronika osserva affascinata.

«Sai che Porto Santo Stefano è stato quasi interamente ricostruito dopo la Seconda Guerra Mondiale?» dice. «Fu uno dei porti più bombardati in Toscana, ma oggi è tornato a essere il cuore dell’Argentario

Osservo la costa.

«Non lo sapevo, ma ha senso. Ha quell’aria di posto che ha saputo rialzarsi.»

Veronika si illumina di colpo.

«Oh, le foto!» esclama ridendo, afferrando la macchina fotografica che aveva lasciato in grembo.

Inizia a scattare, immortalando la costa che si estende verso il promontorio.

Skippy, invece, sembra più interessata agli strumenti che al panorama. Ogni tanto muove il musetto, scrutando ogni mio movimento, come se cercasse di decifrare ogni mia azione.

Superiamo il porto, seguendo il profilo del promontorio. La costa si fa più selvaggia, le scogliere precipitano a picco nel mare, interrotte solo da piccole calette nascoste tra la vegetazione.

Lontano, l’Isola del Giglio emerge come un’ombra scura tra cielo e mare.

Alla nostra sinistra, il sole si riflette sull’acqua, creando scie dorate che danzano con le leggere onde.

Prendendo il mare aperto, Veronika abbassa la fotocamera e guarda la strumentazione con aria curiosa.

«Mi ha sempre incuriosito come funzionano quei pedali» dice, indicando quelli ai suoi piedi. «Sul Cessna non li vedo mai così chiaramente.»

Felice di poter condividere informazioni così da ripeterle anche a me stesso, le rispondo:

«Sul Cessna 172 sono meno evidenti perché servono solo per il timone di coda, mentre qui hanno un ruolo più attivo. Regolano il rotore di coda, che ci permette di mantenere la direzione o ruotare l’elicottero su se stesso. Li uso molto più spesso, soprattutto quando siamo fermi o a basse velocità

Lei segue il movimento dei miei piedi sui pedali, osservando con attenzione.

«Quindi, invece di sterzare, lo fai girare su sé stesso?»

«Esatto. È come stare in equilibrio su un punto, tutto è più immediato ma anche più instabile rispetto a un aereo

Veronika scoppia a ridere all’improvviso.

«E il ciclico, si chiama così giusto?» dice, indicando la leva davanti a me. «Ogni volta che lo usi, il mio si muove di conseguenza e mi ha toccato le mani un paio di volte. È come se mi stesse salutando!»

Sorrido.

«Sì, sono collegati direttamente.»

L’elicottero vibra leggermente con il vento, una sensazione più diretta rispetto al volo in Cessna.

Qui tutto è immediato, ogni correzione passa attraverso i comandi e si riflette istantaneamente nel velivolo. Non c’è inerzia, solo reazione.

Davanti a noi, il Giglio si avvicina sempre di più, avvolto dalla luce dorata del mattino.

Ogni viaggio è una scoperta ma alcuni luoghi raccontano la loro storia anche dall’alto, tra mare e vento.

la costa dietro Porto Santo Stefano (foto flight simulator 2024)

Arrivo al Giglio e la costa sud

La costa sud del Giglio ci appare come un paesaggio aspro e selvaggio. Virando a sud, seguiamo il profilo dell’isola per circumnavigarla interamente.

«Guarda laggiù» dice Veronika, indicando un faro che si erge solitario sulla punta meridionale.

«Il Faro di Capel Rosso è uno dei più antichi della Toscana, costruito a metà Ottocento e ancora oggi attivo.»

Si ferma un istante, poi aggiunge:

«Dal vivo è ancora più affascinante che in foto. Chissà quante tempeste ha visto passare.»

Mantengo l’elicottero stabile in una virata per tornare verso nord.

«Un punto di riferimento che non smette mai di fare il suo lavoro» rifletto ad alta voce.

Veronika scatta delle foto, poi si gira verso di me.

«Sai che sull’isola vivono solo circa 1400 persone? Tra Giglio Porto, Giglio Castello e Campese. Deve essere un posto in cui il tempo ha un ritmo diverso.»

in arrivo all’isola del Giglio (foto flight simulator 2024)

Osservo Skippy, il musetto incollato al finestrino, incantata da ogni dettaglio.

Poi si gira verso di me, gli occhi pieni di meraviglia.

In quel momento capisco: per lei, sono di nuovo il pilota, il riferimento, quello che la porta oltre i confini del mondo.

Dopo Siena, dopo Carlo, dopo quel momento in cui il mio ruolo sembrava scivolato via, ora sento di averlo ritrovato.

E questo, lo ammetto, mi fa sorridere sotto gli occhiali.

La costa, con bellissime scogliere a strapiombo, scorre ora alla nostra destra e ci accompagna verso nord.

«Questa parte dell’isola è famosa per i suoi fondali» spiega Veronika.

«Pare che sia uno dei luoghi preferiti dai sub. Hanno trovato relitti qui vicino, tra cui alcuni antichi risalenti al periodo romano

«Ha senso» rispondo, lasciando che le sue parole arricchiscano il panorama.

«L’isola è stata abitata fin dall’antichità. Gli Etruschi e poi i Romani usavano questi mari per il commercio e probabilmente anche come rifugio.»

Il paese a nord, Campese, si avvicina lentamente.

Le sue case colorate si affacciano su una baia tranquilla, dominata dalla Torre medicea che continua a fare la guardia alla costa.

Alcuni luoghi sembrano sospesi nel tempo, custodi silenziosi di storie che il mare continua a sussurrare.

la costa dell’isola del Giglio dal Cabri (foto flight simulator 2024)

In salita verso Giglio Castello

Mi fermo in hovering sopra Campese e ruoto l’elicottero per avere una visuale completa. Poi inizio a guadagnare quota, salendo verso l’interno dell’isola.

Giglio Castello, il borgo fortificato sulla montagna, si svela lentamente mentre saliamo, con le sue mura imponenti che spiccano sul paesaggio sottostante.

«Questo è uno dei borghi più antichi dell’Arcipelago Toscano» dice Veronika.

«Le sue mura risalgono al Medioevo e il centro è praticamente intatto. È come fare un salto indietro nel tempo

Skippy segue ogni movimento con una concentrazione sorprendente. Il suo entusiasmo è contagioso e per un attimo mi sento completamente immerso nella bellezza di ciò che stiamo vivendo.

Felice di poter condividere tutto questo con loro, sapendo che sarà un ricordo che ci porteremo dietro.

Superato Giglio Castello, il terreno precipita rapidamente verso il mare, aprendo un panorama mozzafiato.

Giglio Castello (foto vrbo.com)

Mi abbasso di quota, puntando verso Giglio Porto.

Cerco il punto d’atterraggio indicato da Luca, con un occhio al tablet e l’altro alla costa.

Lo riconosco quasi subito: un piccolo appezzamento di terra vicino ad alcune case, circondato da alberi, con una piccola bandiera a vento, di quelle bianche e rosse degli aeroporti, proprio come descritto da Luca.

Mi tornano in mente le parole di Luca:

«Il mio amico è abituato a vedere elicotteri atterrare lì.»

Il pensiero che questa manovra sia riuscita a molti altri prima di me mi rassicura, ma solo in parte.

Gli alberi intorno sembrano stringersi attorno all’elicottero, e sento il peso della responsabilità premere sulle mie spalle.

Controllo gli strumenti, mi concentro e inizio la manovra di discesa.

L’atterraggio procede liscio fino al momento finale quando, abbassando il collettivo un po’ troppo velocemente, un leggero colpo scuote l’elicottero, facendoci sussultare.

«Scusate» dico imbarazzato, togliendo le mani dai comandi con un sospiro di sollievo.

Veronika mi lancia un sorriso comprensivo, accarezzando Skippy che, nonostante tutto, sembra più incuriosita che spaventata.

Giglio Castello si erge come un guardiano del tempo, un luogo dove le storie non sbiadiscono ma si rafforzano con il vento e le pietre

discesa verso Giglio Porto (foto flight simulator 2024)

Giglio Porto: tra colori e storia

Appena i motori si spengono e il rotore inizia a rallentare con un sibilo che sfuma nell’aria, un uomo sulla cinquantina esce da una casa vicina. Il sole basso illumina il suo viso mentre si avvicina con passo deciso. «Ben arrivati!» dice con un sorriso aperto. «Io sono Sandro, l’amico di Luca. Spero che il volo sia andato bene.» Scendiamo dall’elicottero uno alla volta, a testa bassa e schivando il vento ancora sollevato dalle pale in movimento. «È stato fantastico» risponde Veronika, mentre io gli stringo la mano con gratitudine. «Grazie per averci ospitati» aggiungo. «E mi scuso per l’atterraggio un po’… brusco.» Sandro ride. «Non ti preoccupare, sei andato benissimo. Ho visto atterraggi molto peggiori.» Dopo qualche scambio di battute ci avviamo verso Giglio Porto. Skippy, finalmente rilassata dopo l’atterraggio, mi salta sulla spalla con l’agilità di sempre, abbracciandomi il collo con una zampetta. Mi scappa un sorriso: era da un po’ che non lo faceva. Dopo Siena, dopo Carlo, dopo quel piccolo momento di gelosia che avevo provato, ora la sento di nuovo mia complice. Le case color pastello si specchiano nell’acqua immobile, mentre le barche ondeggiano appena, cullate dal respiro del porto. Il mormorio delle onde riempie l’aria, mescolandosi al profumo di salsedine.

«Carlo raccontava che questo porto ha sempre avuto un ruolo importante, vero?» dice Veronika, lasciando vagare lo sguardo sulle barche. «Prima per i commerci romani, poi come rifugio sicuro per le navi in tempesta.»

Alcuni luoghi sembrano costruiti per proteggere, altri per accogliere. E Giglio Porto ha imparato a fare entrambe le cose.

Giglio Porto (foto viaggi.corriere.it)

Una sosta dolce vista mare

Osservando la conformazione del porto, le rispondo. «Non mi sorprende. Sembra costruito apposta per proteggere non solo le barche, ma anche chi vive qui.» Arrivati in paese ci fermiamo lungo una viuzza per prendere un gelato artigianale. Skippy, dal suo posto privilegiato sulla mia spalla, assapora la sua coppetta come se fosse un’esperienza mistica.

Ci spostiamo poi su una panchina fronte mare, lasciandoci avvolgere dall’atmosfera rilassata del borgo. Il porto da qui sembra pulsare di vita, incorniciato dalle case color pastello che si riflettono nell’acqua ha un non so che di magico. Forse anche per il sole che nel mentre si sta abbassando tingendo il cielo di sfumature calde. «Sai» dice Veronika, osservando il mare «una delle cose che amo di questi posti è che non hanno bisogno di esagerare. La loro bellezza è essenziale, autentica.» Le rispondo mentre assaporo l’ultimo pezzo del mio gelato. «Hai ragione. Perfino il silenzio qui sembra avere un suono diverso.» Poco dopo riprendiamo la passeggiata senza una meta precisa, finché lo sguardo di Veronika viene catturato da un espositore di cartoline fuori da una piccola bottega. Si avvicina lentamente, quasi richiamata da un pensiero improvviso. La osservo sfiorare con le dita le immagini di Giglio Porto, poi ne prende una e la rigira tra le mani, riflettendo.

Non c’è bisogno di parole. So esattamente a chi sta pensando. Senza interromperla, la vedo prendere una penna dal bancone e iniziare a scrivere. Mi allontano di qualche passo, lasciandole tutto il tempo di esprimere ciò che sente. Da lontano, la guardo sorridere mentre riempie la cartolina di parole. In quel momento, mi accorgo di quanto sia felice di vederla così, dopo il momento di malinconia di ieri. Nel frattempo Skippy si è intrufolata in un gruppo di bambini che rincorrono i gabbiani sulla piazzetta del porto. La scena è pura gioia: si lancia all’inseguimento con entusiasmo ma i gabbiani, con un battito d’ali, la lasciano con le zampe nel vuoto. I bambini ridono e gridano, mentre lei, per nulla scoraggiata, cambia strategia, correndo in cerchio per anticiparli. Poi, cercando di fermarsi troppo in fretta, ruzzola sulla schiena con le zampe all’aria. Un attimo di silenzio, poi un’esplosione di risate. Anche Skippy, dopo un secondo di sorpresa, scoppia a ridere con il suo verso caratteristico, rialzandosi come se nulla fosse accaduto.

Veronika torna verso di me con la cartolina ormai spedita. I suoi occhi luminosi non hanno bisogno di parole. Mi bacia con dolcezza, come per ringraziarmi di averla spronata a trovare un modo per esprimere ciò che provava. Skippy, ansimante dopo la sua corsa con i bambini, ci raggiunge barcollando, ancora euforica. «Hai dato spettacolo, eh?» le dico ridendo. Lei si accascia tra le nostre gambe con fare teatrale, soddisfatta della sua impresa. Diamo un’ultima occhiata al porto. Il tramonto è vicino, le ombre si allungano sulle barche. «Forse è meglio iniziare a rientrare» dico, scrutando l’orizzonte che si tinge di arancio e rosa. Veronika annuisce, riponendo la fotocamera dopo aver scattato un’ultima foto.

«La signora del negozio mi ha raccontato una cosa curiosa» dice mentre ci avviamo verso l’elicottero. «Pare che il primo faro dell’isola sia stato acceso dai Romani, per guidare le loro navi cariche di ferro dall’Elba Immagino le antiche imbarcazioni solcare il mare secoli fa. «Non c’è niente di più affascinante di un posto piccolo con una grande storia.» Siamo vicini casa di Carlo, pronti a salutare questo angolo di paradiso e riprendere il volo verso casa. Con una cartolina in viaggio e un sorriso che accompagna il tramonto.

Anche il silenzio ha un suono diverso qui.

il porto di Giglio Porto (foto gigliovacanze.it)

Ritorno nell’oscurità

Dopo aver salutato e ringraziato Sandro per l’ospitalità, gli porgo una bottiglia di vino che accetta con un sorriso caloroso. «Non era necessario ma grazie. Spero torniate presto al Giglio» dice stringendomi la mano con un calore genuino. Skippy, dal suo posto accanto a Veronika, lo osserva con l’aria di chi ha già classificato questa giornata tra le sue preferite. Avvio il motore e il suono, adesso familiare, del rotore che inizia a girare riempie l’aria. Veronika e Skippy si sistemano velocemente al loro posto mentre io verifico per l’ultima volta gli strumenti. Con un leggero movimento del collettivo decolliamo. Giglio Porto, ora avvolto dall’oscurità, appare ancora più suggestivo con le sue luci che disegnano riflessi tremolanti sul mare. La vista è quasi ipnotica.

Man mano che ci allontaniamo dall’isola, la sensazione di quiete lascia spazio alla concentrazione. Provo a regolare la retroilluminazione degli strumenti, troppo intensa e affaticante per gli occhi, ma non riesco a trovare il giusto equilibrio. Sospirando mi rassegno al fastidio, cercando di ignorarlo mentre controllo la rotta verso Orbetello. Davanti a noi il mare è avvolto da piccoli banchi di nebbia sulla superficie. Il faro dell’elicottero ne illumina alcuni, creando giochi di luce irreali, quasi ipnotici. Il promontorio dell’Argentario emerge netto all’orizzonte, un riferimento chiaro che guida il volo senza incertezze. Per ora, la nebbia è un elemento scenico, non un ostacolo.

Ma avvicinandoci alla costa, il paesaggio cambia. La nebbia, prima solo un velo sospeso sul mare, inizia a risalire lungo i fianchi della montagna, avvolgendo le insenature come un respiro trattenuto. I contorni del promontorio, prima così definiti, si dissolvono gradualmente nell’oscurità. Per un attimo il mondo esterno si dissolve. Il mare, il cielo, la costa: tutto diventa un’unica ombra indistinta. Istintivamente stringo il ciclico, un secondo di esitazione, poi porto lo sguardo sugli strumenti. La bussola mi conferma la rotta. Il cuore accelera ma la mente si ancora ai numeri e alle linee luminose che segnano il confine tra controllo e smarrimento.

Stringo il ciclico e aggiusto la rotta con un micro-movimento, affidandomi alla bussola e all’orizzonte artificiale. «Luca aveva ragione» penso, mentre un sottile brivido mi percorre. «Tornare prima del buio completo è stata una scelta saggia.» Porto Santo Stefano si rivela alla nostra destra, ora sembra un presepe illuminato. Le luci delle case e delle strade si riflettono dolcemente sul mare, creando un’immagine perfetta. Sorrido, lasciando che quel pensiero semplice ma evocativo mi accompagni per qualche istante.

Mentre Veronika continua a scattare foto puntiamo verso il nuovo luogo di atterraggio, un campo poco distante dal Tombolo della Giannella come consigliato da Luca. Con il promontorio ormai alle spalle mi preparo mentalmente per l’atterraggio, consapevole che ogni fase del volo richiede la massima attenzione.

Nel buio della notte il Giglio si allontana e le luci di Porto Santo Stefano brillano come un presepe sospeso sul mare. Ogni volo è un viaggio tra attesa e meraviglia

Porto Santo Stefano al buio (foto flight simulator 2024)

Atterraggio sotto le stelle

Il faro dell’elicottero illumina il campo erboso che si staglia davanti a noi. Noto la figura familiare di Luca, in piedi accanto a un fuoristrada, con le braccia incrociate e un sorriso rilassato. Con attenzione guido il Cabri verso il punto di atterraggio mantenendo la concentrazione mentre i pattini toccano terra con una leggera vibrazione. Spengo il motore e il rotore rallenta gradualmente fino a fermarsi.

Una volta spenti tutti gli strumenti ci togliamo le cuffie e scendiamo dall’elicottero. Sciolgo le spalle e apro le mani lentamente, rendendomi conto solo ora di quanto le dita siano rimaste contratte sui comandi. Anche l’adrenalina inizia a calare, lasciando spazio alla stanchezza buona, quella che arriva dopo un volo che ti ha tenuto sul filo.
Luca si avvicina stringendomi la mano con calore. «Ottimo lavoro, Camillo. Ti sei mosso come un veterano» dice con un tono che mi strappa un sorriso di sollievo.
«Grazie, Luca. È stato un volo indimenticabile ma credo che ora mi servirà un bicchiere d’acqua per calmare l’adrenalina» rispondo ridendo.

Skippy si sporge verso Luca con il musetto curioso dopo che lui l’ha chiamata a sé «Vieni qui, piccola pilota» dice tirando fuori dalla tasca un piccolo portachiavi a forma di elicottero. «Questo è per te, per ricordarti del tuo primo volo in elicottero.»
Skippy emette un verso di pura gioia, stringendo il piccolo elicottero come se fosse il trofeo di una grande avventura. Poi lo solleva con orgoglio per mostrarlo a noi, come se avesse davvero conquistato il cielo. «Grazie, Luca. È un gesto bellissimo» dice Veronika accarezzando la testa di Skippy. Poi aggiunge: «Sai, raccoglie sempre piccoli souvenir dai nostri viaggi. Questo sarà uno dei più speciali.»

il piccolo souvenir regalato da Luca a Skippy (foto Dall-E)

Luca sorride salutandoci con un ultimo abbraccio. «Allora ci vediamo al prossimo volo, magari con un altro Cabri.»
Ci allontaniamo verso l’auto con cui torneremo in albergo. La notte è fresca e l’adrenalina inizia a lasciare spazio a una piacevole stanchezza. Una volta arrivati in camera Veronika si siede accanto alla finestra, accarezzando Skippy che tiene stretto il suo nuovo portachiavi.

«Domani si riparte per l’Elba» dico controllando le previsioni meteo sul tablet. «Ti ricordi la vacanza in moto all’Elba? La Rebel 500 e il giro dell’isola intera?»
Veronika sorride. «Come dimenticarlo? È stata una delle nostre vacanze più belle. La moto e quelle strade ci facevano sentire parte del paesaggio.»
Sorrido. «Già. Questa volta sarà diverso, ma sono sicuro che sarà altrettanto speciale.»

Mentre controllo il meteo la mia espressione però cambia. «Ci sono venti forti previsti anche per domani» dico preoccupato. «Spero che riusciremo a partire senza problemi.»
Veronika mi guarda con comprensione. «Qualunque cosa accada, troveremo un modo. Come sempre.»

Con quel pensiero rassicurante ci prepariamo per la notte, sapendo che ogni giorno in volo porta con sé nuove sfide ma anche momenti unici da custodire.

Ogni atterraggio porta con sé sollievo e nuove emozioni ma è nei piccoli gesti – una stretta di mano, un portachiavi tra le zampe di Skippy – che restano impressi i ricordi più preziosi.

04 – Diario di volo Siena Orbetello

Tra il silenzio e il volo

Quando arriviamo, l’aeroporto di Siena è immerso in una quiete irreale. L’aria è ancora calda del giorno appena trascorso, ma dentro di noi il vento è cambiato.

Mentre sistemo il Cessna 172 per il volo, il mio sguardo si sofferma su Veronika. Di solito è lei la prima a parlare, a riempire il tempo con osservazioni curiose o battute leggere. Oggi no. Sta ferma accanto all’ala dell’aereo, una mano che giocherella distrattamente con la cinghia dello zaino. Il suo sguardo vaga, perso nei pensieri.

Mi avvicino per aiutarla a sistemare l’attrezzatura, ma il mio gesto sembra spezzare qualcosa. Veronika solleva lo sguardo, mi osserva per un attimo con un sorriso appena accennato, poi torna a concentrarsi sui movimenti meccanici della preparazione al volo.

Anche Skippy è strana. È ferma accanto al finestrino, le orecchie abbassate, gli occhi fissi sulla spilletta di Carlo riflessa nel vetro. Sembra immersa nei suoi pensieri, come se quella piccola insegna dorata contenesse un significato solo per lei.

Per un attimo ho l’impulso di dirle qualcosa, di trovare le parole giuste per confortarle, ma non lo faccio. So che certe emozioni non vanno interrotte, devono semplicemente scorrere.

Come una squadra silenziosa completiamo i controlli. L’abitudine a quei gesti è l’unica cosa che ci ancora alla realtà.

Quando tutto è pronto, Veronika si occupa delle comunicazioni con la torre. La sua voce torna per un momento calma, professionale, ma io sento il peso che porta dentro. L’autorizzazione arriva in pochi secondi. Il Cessna ruggisce in risposta, pronto a riportarci in aria.

Le ruote si staccano dall’asfalto e per un attimo tutto si ferma.

Veronika chiude gli occhi.

Un respiro profondo, poi li riapre, lasciando che lo sguardo si perda tra le colline. Salutiamo Siena, la città che ci ha nuovamente accolti e che ora ci sta lasciando andare.

Dalla sua borsa spunta la fotocamera, sollevata con la precisione di sempre. Un gesto familiare, rassicurante. La osservo mentre inquadra il paesaggio, i suoi movimenti calcolati, il suo modo di guardare il mondo attraverso l’obiettivo sembra lo stesso di sempre, ma comunque con una sfumatura diversa.

Sta cercando di trattenere qualcosa.

Le Crete Senesi si aprono davanti a noi e con esse il nostro viaggio che continua.

Un passo alla volta, un volo dopo l’altro.

certe emozioni non vanno interrotte, devono semplicemente scorrere.

in volo sopra le Crete Senesi (foto flight simulator 2024)

Asciano: un rifugio tra le colline

Il volo sopra le Crete Senesi procede silenzioso. Piloto quasi automaticamente mentre il mio pensiero vaga. Il rombo del motore riempie l’aria, ma l’atmosfera in cabina è troppo pesante.

Poi lei rompe il silenzio.

«Sai…» sembra più un pensiero ad alta voce che una vera domanda. «Non avrei mai immaginato di affezionarmi così tanto a qualcuno incontrato per caso.»

La osservo un istante, poi torna a guardare fuori.

«Non è poi così strano.»

«A me sembra di sì.» Veronika sospira, stringendo la fotocamera tra le dita senza scattare. «Mi sento come se avessi lasciato qualcosa indietro. Come se ci fosse ancora qualcosa da dire, da fare.»

Cerco di confortarla. «Perché fanno parte di te, ormai.»

Lei mi guarda, incerta. «E cosa dovrei farci, con questa sensazione?»

Rifletto un momento, continuando a concentrarmi sul volo. «Accettarla. Non come un’assenza, ma come qualcosa che ti accompagna.»

Veronika abbassa lo sguardo. «E se invece fosse una mancanza? Se certe persone fossero destinate a restare?»

«Alcuni incontri sembrano fatti per durare solo un attimo, altri per accompagnarci più a lungo. Ma il tempo passato con qualcuno non è quello che conta davvero.»

«E cosa conta?»

Le accarezzo la gamba e le dico dolcemente: «Quello che ci resta, quello che ci cambia.»

Un movimento improvviso interrompe la conversazione. Skippy, dal suo posto, allunga il musetto contro il vetro, poi indica con la zampa qualcosa al di sotto di noi.

Veronika segue la sua direzione. «Hai ragione Skippy, scusa. Guarda, credo sia la Grancia di Cuna di cui leggevo prima.»

Abbasso leggermente il muso dell’aereo per osservare meglio la fortezza incastonata tra i campi dorati.

«Era un granaio fortificato» spiega Veronika. «I monaci di Monte Oliveto Maggiore lo costruirono per proteggere le scorte dai briganti. Serviva anche come rifugio per i pellegrini della Via Francigena.»

Osservo le alte mura che racchiudono l’edificio, solido e immutabile nel tempo. Protezione. Rifugio. Accoglienza.

Le parole di Veronika di poco fa riecheggiano ancora nella mia mente. Carlo e Irina sono stati questo per noi. Un porto sicuro. Una lezione su come affrontare il viaggio della vita. Un rifugio per le nostre paure su questa avventura.

La Grancia si allontana sotto di noi e con essa i pensieri ancora sospesi.

«Asciano è proprio davanti» dice Veronika, tornando a concentrarsi sulla guida.

Sorvoliamo il borgo compatto e armonioso, un piccolo centro che sembra abbracciarsi su se stesso.

«Asciano era un crocevia per il commercio del grano» continua Veronika. «Ha origini etrusche, ma nel Medioevo divenne un centro importante. C’è anche un museo con reperti storici e opere d’arte.»

La sua voce ha ritrovato un po’ della leggerezza di sempre, ma resta quell’alone di malinconia.

I luoghi possono essere rifugi ma non possiamo restare per sempre dentro le loro mura. La vita è fatta di partenze, anche di quelle che non vorremmo affrontare.

verso Asciano (foto di flight simulator 2024)

Montepulciano: il tempo e il valore degli incontri

Il volo prosegue tranquillo. Il sole continua ad abbassarsi, tingendo il paesaggio di una luce ancora più morbida, quasi pittorica.

Veronika è sempre assorta nei suoi pensieri. Le sue dita sfiorano la fotocamera senza alzare l’obiettivo, come se il paesaggio che stiamo sorvolando fosse solo uno sfondo per qualcosa di più grande che le sta passando per la mente.

Poi, come se seguisse un pensiero ad alta voce, chiede: «Secondo te, gli incontri che facciamo sono casuali o c’è sempre un motivo dietro?»

Rifletto per un momento. «Forse certe persone sono destinate a incrociare il nostro cammino, mentre altre le incontriamo perché scegliamo di aprirci a qualcosa di nuovo.»

Veronika tiene lo sguardo fisso sull’orizzonte. «E Carlo e Irina

Rifletto un attimo. «Forse non è stato il destino a portarci da loro, ma il fatto che eravamo pronti a lasciarci ispirare.»

Skippy, dal suo posto, inizia a emettere piccoli versi battendo leggermente una zampetta contro il finestrino per attirare la nostra attenzione. Io e Veronika siamo così presi dal nostro discorso che, all’inizio, non la notiamo.

Ma lei non si arrende: con un verso più deciso, quasi seccato, e un gesto esagerato della zampa, ci costringe a guardarci.

«Che c’è piccola? Cosa succede?» chiedo voltandomi verso di lei.

Skippy, con il muso premuto contro il finestrino, sembra dire: “Finalmente vi siete svegliati!”

Veronika si sporge per vedere meglio e scoppia a ridere. «Guarda, è **Montepulciano! La nostra piccola navigatrice ha ragione: non possiamo perdercelo.»

Rallento leggermente l’aereo per osservare meglio il borgo.

«Una chiesa mi cattura subito l’attenzione. E quella?»

Veronika mi risponde quasi subito. «Credo sia il Tempio di San Biagio, un capolavoro rinascimentale progettato da Antonio da Sangallo il Vecchio

«Ma Montepulciano non è solo arte» continua Veronika. «La guida dice che il Vino Nobile di Montepulciano è uno dei più antichi d’Italia. Lo sapevi? Più il vino invecchia, più diventa prezioso.»

Skippy, soddisfatta, si accoccola sul sedile con aria fiera.

Alcuni incontri sono come il buon vino: il loro valore si comprende solo con il tempo.

Montepulciano visto dal lato di Veronika (foto flight simulator 2024)

Pienza: la città perfetta e la realtà dell’imperfezione

La manovra per raggiungere Pienza ci porta a virare ampiamente, quasi tornando indietro, seguendo la rotta verso nord-est. Poi, all’orizzonte, la città emerge dal paesaggio con una geometria particolare, come se fosse stata modellata più dalla volontà di un artista che dalla mano del tempo.

Veronika sfoglia la guida, il suo sguardo assorto. «Sai che Pienza era in origine un villaggio chiamato Corsignano?» dice con voce bassa, ancora meno entusiasta del solito. «Poi Papa Pio II, nato proprio qui, decise di trasformarlo in un modello di città rinascimentale.»

Mantengo la rotta stabile e la osservo. «E ci è riuscito?»

«In un certo senso sì» risponde, voltando una pagina della guida. «Tutto qui è stato progettato per trasmettere equilibrio: la disposizione delle strade, la simmetria delle facciate, persino la Piazza Pio II, trapezoidale, che dà l’illusione di essere più ampia di quanto sia realmente.»

Sorvoliamo Pienza lentamente, lasciandoci avvolgere dalla sua armonia. Le sue strade ordinate scorrono sotto di noi come un disegno perfetto, ogni edificio sembra parte di una composizione studiata nei minimi dettagli.

Eppure Veronika continua a rimanere in silenzio. Poi, quasi parlando a sé stessa, mormora: «Irina… mi ha colpita così tanto. Non solo per quello che ha fatto nella sua vita, ma per come si muove, per come parla… sembra sapere sempre dove andare, cosa dire.»

Annuisco, confermando la sua stessa visione. «Sì, è una donna speciale.»

«E io… io non mi sento così. Io mi perdo in mille pensieri, ho sempre paura di sbagliare, di dire la cosa sbagliata.»

La guardo, poi torno agli strumenti con calma. «E pensi che Irina non sia mai stata così?»

Veronika esita. «Non lo so… non me la immagino diversa da come l’abbiamo conosciuta.»

«Forse anche lei ha avuto qualcuno che l’ha ispirata, esperienze che l’hanno fatta evolvere, prima di diventare la persona che è ora.»

Veronika mi osserva a lungo, come se quelle parole stessero trovando il loro posto nella sua mente. «Forse.»

Le prendo la mano. «E poi, chi ha detto che questo è un addio? Abbiamo i loro contatti. Ci rivedremo, in un modo o nell’altro.»

Veronika accenna un sorriso, ma ancora timido. «Dici?»

«Certo. E se anche passasse del tempo, sarà come se non fosse passato nemmeno un giorno.»

La vera perfezione non è ciò che possiamo trattenere ma ciò che lascia un segno dentro di noi.

sopra Pienza (foto flight simulator 2024)

San Quirico d’Orcia: i luoghi che ascoltano le nostre storie

Poco dopo siamo sopra San Quirico d’Orcia. Veronika osserva i giardini ben curati che si intravedono tra le mura, lo sguardo meno ombroso.

«Guarda laggiù, devono essere gli Horti Leonini. Un esempio perfetto di giardino all’italiana.»

Mi lascio trasportare dal suo tono, che questa volta non è triste e buio. Sorvoliamo lentamente San Quirico, mentre il sole accarezza le sue strade antiche.

«San Quirico era una tappa fondamentale per i pellegrini della Via Francigena» continua Veronika, sfogliando distrattamente la guida. «Gli Horti furono progettati nel XVI secolo per accogliere i viaggiatori. Oggi sono un’oasi di pace, un luogo perfetto per passeggiare e riflettere.»

La guardo mentre si sistema una ciocca di capelli.

«Riflettere…» ripeto piano, come se quella parola avesse un peso in più oggi.

Ci sono luoghi che non si limitano a esistere: sono lì per accogliere chi ha bisogno di essere ascoltato.

gli Horti Leonini di San Quirico d’Orcia (foto flight simulator 2024)

Oltre il Monte Amiata: il viaggio come crescita

Il Monte Amiata alla nostra destra è imponente e immobile, mentre il sole gli scorre dietro generando lunghe ombre sul terreno. Il paesaggio intorno cambia lentamente, le foreste scure contrastano con la luce calda del tramonto, come se la natura volesse raccontare una storia fatta di contrasti e trasformazioni.

Il silenzio torna per qualche istante, ma stavolta è più leggero.

Poi, quasi con noncuranza, le lancio un’idea: «E comunque, sai cosa potresti fare?»

Veronika mi guarda, incuriosita. «Cosa?»

«Scrivergli. Una cartolina ogni tanto, dai vari posti che visiteremo. Sarebbe una cosa carina e lascerebbe un ricordo nel tempo anche per Irina

Lei mi fissa per un istante, poi i suoi occhi si illuminano. «Una cartolina?»

Annuisco. «Perché no? Un modo per portarli con noi, per condividere il viaggio. Loro hanno viaggiato tanto prima di noi, ma ora siamo noi a essere in cammino. Sarebbe bello mandar loro qualche frammento della nostra avventura. Mantenere un legame.»

Il sorriso di Veronika si allarga. «Mi piace. Mi piace davvero.»

Sorrido soddisfatto. «Allora è deciso.»

Veronika si appoggia al sedile, rilassandosi. «Grazie! Sai, ora mi sento meglio.»

Le lancio un’occhiata complice. «E io che pensavo di essere solo bravo a pilotare.»

Veronika scoppia a ridere, scuotendo la testa. «Sei meglio di un navigatore. Trovi sempre la rotta giusta.»

Ridacchio. «E allora non perderti, che abbiamo ancora tanta strada davanti.»

Con questo pensiero, Veronika torna a sorridere davvero.

Cerco poi di distrarla e farla tornare nello spirito del viaggio: «Sai che ho visitato questa zona anni fa?» le dico con voce entusiasta. «Ero in moto. Un viaggio in solitaria tra Umbria e Toscana. Sono salito fino in cima al monte, cercando un po’ di fresco nel caldo estivo, ma all’epoca non sapevo che fosse un vulcano spento.»

Veronika si volta verso di me, sorpresa. «Un vulcano? Davvero?»

Annuisco. «Già, l’ho scoperto solo di recente in un documentario. È uno dei vulcani più grandi d’Italia, anche se ormai è inattivo. Le sue foreste di castagni e faggi sono immense, e in passato le castagne erano una risorsa fondamentale per le comunità locali.»

«Ma quello che mi ha colpito di più allora è stata la sensazione di pace. Non c’era nessuno per strada, solo io, il rumore del motore e il profumo del bosco. È un posto che mi ha fatto sentire piccolo, ma in un modo positivo. Mi ricordò che c’è qualcosa di più grande di noi.»

Lasciamo scorrere il Monte Amiata, lasciandoci alle spalle le sue foreste e il suo profilo imponente. Veronika ora guarda avanti, sembra più sollevata.

Forse ha trovato la sua risposta, o forse ha solo capito che non serve averne una subito.

Il vuoto che lasciano le persone è il segno che ci hanno cambiati.

altra angolazione del monte Amiata (foto flight simulator 2024)

La Rocca del Brigante: tra storia e teatro

All’orizzonte, isolata sulla sua collina come un guardiano solitario, appare la Rocca di Radicofani. La sua torre massiccia si staglia contro il cielo del pomeriggio, le mura spesse ancora intatte nonostante il passare dei secoli.

«Eccola» dico, riducendo la velocità e apprestandomi a effettuare la virata in circolo. «Immagina la vista che avevano da lassù.»

Veronika sfoglia rapidamente la guida. «Dice che la Rocca controllava la Via Francigena. Serviva a proteggere i viaggiatori ma anche a monitorare i mercanti… o derubarli. La cosa più interessante, infatti, è che fu il rifugio di un certo Ghino di Tacco

«Ghino di Tacco?» chiedo incuriosito. «Chi era?»

«Un brigante famoso, un po’ il Robin Hood italiano» spiega Veronika, sorridendo. «Rubava ai ricchi per aiutare i poveri e si rifugiava proprio nella Rocca. È citato sia nella Divina Commedia di Dante che nel Decameron di Boccaccio

Skippy si alza di scatto, con le orecchie dritte e lo sguardo determinato. Inizia a mimare gesti teatrali, afferrando un arco immaginario e lanciando frecce invisibili verso un nemico altrettanto invisibile. Poi lo punta verso di noi.

Io e Veronika ci blocchiamo, sorpresi dalla sua interpretazione.

«Guarda! Sta interpretando Ghino di Tacco!» esclama Veronika, scoppiando a ridere. Io cerco di mantenere la concentrazione sul volo, ma la scena è troppo divertente.

Skippy ci guarda con il musetto serio, aspettando il nostro coinvolgimento.

Le risate riempiono la cabina. «Va bene, hai vinto! Mi arrendo, ecco tutti i miei risparmi» le dico ridendo e mimando il gesto. «Da oggi sei ufficialmente il nostro brigante ufficiale.»

Skippy, soddisfatta del riconoscimento, si lascia cadere sul sedile, apparentemente fiera di averci distratti per un attimo dai nostri pensieri odierni.

Sorvoliamo lentamente la Rocca di Radicofani, lasciando che la sua ombra lunga si mescoli con la luce del tramonto.

Mantenendo lo sguardo fisso sugli strumenti, le dico: «Stavo pensando che forse non è importante quanto tempo passiamo con qualcuno, ma l’impronta che ci lascia.»

Prendo un respiro e la guardo.

«Non possiamo trattenerle, ma possiamo portarle con noi. Non come assenza, ma come parte di quello che siamo diventati.»

La terra ricorda chi l’ha vissuta. Alcuni nomi restano scolpiti nella pietra più di quelli nei libri di storia.

la rocca di Radicofani (foto flight simulator 2024)

Le acque magiche di Saturnia: un sorvolo tra sogno e realtà

La nuova rotta ci porta su un fiume che serpeggia dolcemente tra le valli: il Fiume Albegna. Le sue curve sembrano disegnare una melodia visiva che si sposa perfettamente con la calma di questo tratto di volo.

«Guarda laggiù!» esclama Veronika, indicando un punto poco più avanti. «Quelle devono essere le Terme di Saturnia.»

Abbasso leggermente la quota, rallentando per osservarle meglio. Le Cascate del Mulino sono ben distinguibili, una serie di vasche naturali scavate nella pietra, da cui si alzano leggere volute di vapore. Il bianco della schiuma contrasta con le rocce grigio-azzurre e il verde della vegetazione circostante.

«Incredibile» mormora Veronika. «Sembrano sculture create dall’acqua stessa.»

Sorvoliamo lentamente il sito, lasciandoci avvolgere dalla vista ipnotica dell’acqua che scorre senza sosta, modellando il paesaggio come farebbe un artista paziente. Per un attimo, mi immagino lì, immerso in una di quelle vasche mentre il calore dell’acqua scioglie ogni pensiero di questa giornata.

«Un giorno ci fermiamo qui, vero?» chiede Veronika, con un tono che è già una decisione.

Sorrido. «Lo faremo. Aggiungilo pure alla lista. Ci servirà un altro giro del mondo per spuntare poi tutte le voci di quella lista» le dico scherzando.

Le Cascate del Mulino restano impresse nei nostri occhi mentre le lasciamo scivolare dietro di noi. L’immagine del vapore che si solleva leggero nell’aria fresca sembra un invito a rallentare, a immergersi nel tempo anziché lasciarselo scorrere accanto.

Davanti a noi la costa si avvicina.

Alcuni luoghi non sono solo paesaggi ma promesse di momenti futuri ancora da vivere.

cascate del Mulino alle Terme di Saturnia (foto flight simulator 2024)

Orbetello e Porto d’Ercole: il riflesso del tempo

Il paesaggio cambia di colpo. Superata l’ultima collina, la laguna di Orbetello si apre davanti a noi come uno specchio che riflette il cielo viola del tramonto. I due sottili lembi di terra che collegano l’Argentario alla costa sembrano galleggiare sull’acqua, quasi irreali nella loro perfezione.

«Guarda lì» dico, indicando le due strisce che si allungano nel mare. «Sembrano sospese. Sono artificiali, vero?»

Veronika alza lo sguardo dal finestrino, sorpresa e incantata quanto me. «Aspetta, controllo…» sfoglia rapidamente la guida. «Sono i Tomboli della Feniglia e della Giannella. Non sono artificiali, si sono formati nei secoli grazie alle correnti e ai venti. Sono unici nel loro genere.»

Mi lascio incantare dalla loro geometria naturale. «È incredibile pensare che la natura costruisca confini meglio di qualsiasi architetto.»

Sorvoliamo il cuore di Orbetello, la città che sorge come un’isola sulla laguna. Le sue strade strette, le mura antiche, il profilo delle chiese immerse nella luce dorata del tramonto… c’è un non so che di magico.

«Qui il passato si stratifica» dice Veronika. «Gli Etruschi la fortificarono, i Romani ne fecero un porto strategico, gli Spagnoli la trasformarono in una roccaforte.»

Ci sono incontri che durano per sempre, altri si dissolvono nel tempo come un mistero mai risolto.

la laguna di Orbetello (foto flight simulator 2024)

Sorvoliamo lentamente la laguna, quando Porto Ercole appare poco dopo, abbracciato dalle colline dell’Argentario. Le sue case colorate si affacciano sul porto, mentre le antiche fortezze spagnole si ergono sopra di esso.

«Porto Ercole è famoso per le sue fortificazioni» dice Veronika. «Forte Stella, Forte Filippo e la Rocca Spagnola. Sono state costruite proprio dagli Spagnoli per difendere la costa dagli attacchi dei pirati.»

«Pirati e tempeste» aggiungo, osservando il porto rivolto verso la terraferma. «La posizione sembra studiata per proteggere non solo le persone, ma anche le navi.»

Veronika annuisce, poi si ferma su un altro paragrafo. «Aspetta, aspetta… c’è un’altra storia interessante: pare che Caravaggio sia morto proprio qui.»

«Caravaggio?» chiedo incuriosito. «Che ci faceva a Porto Ercole

«A quanto pare stava cercando di tornare a Roma» spiega lei. «Era in fuga da una condanna a morte e cercava il perdono papale, ma venne arrestato per errore vicino Palo Laziale. Quando lo rilasciarono, arrivò qui malato e indebolito, dove morì nel 1610. Non si sa esattamente dove sia stato sepolto, ma alcuni resti trovati in zona potrebbero essere i suoi.»

Resto in silenzio per un momento, osservando il borgo che scorre sotto di noi. Le luci del porto si riflettono sull’acqua, creando un’atmosfera calma e quasi irreale.

«È assurdo» dico infine. «Puoi lasciare un segno enorme nel mondo, cambiare la storia, eppure morire lontano da tutto, quasi dimenticato. La vita è imprevedibile, vero?»

Veronika annuisce pensierosa. «Forse è proprio questo che la rende unica. Non sai mai dove ti porterà né come si concluderà il tuo viaggio.»

Sorvoliamo Porto Ercole, virando lentamente verso la costa, con la laguna di Orbetello che si estende alla nostra sinistra.

La luce violacea del tramonto si riflette ancora sull’acqua, un ultimo saluto prima che il giorno ceda alla notte.

Puoi lasciare un segno indelebile nella storia eppure svanire nell’ombra, lontano da tutto. La vita è imprevedibile, proprio come il viaggio.

sorvolando Porto d’Ercole (foto flight simulator 2024)

Un atterraggio fuori dall’ordinario

Mentre Orbetello sfila lentamente alla nostra sinistra, avverto un leggero peso nello stomaco. L’idea di atterrare su una pista in erba mi preoccupa: è il primo campo di questo tipo da quando ho ottenuto il brevetto. La luce del tramonto è ormai fioca e la mancanza di segnali visivi chiari rende tutto più incerto. Controllo spesso il tablet alla mia destra, dove la rotta tracciata ci porta verso una piccola pista immersa nella natura, vicino al Lago di Burano.

«Tutto bene?» chiede Veronika, cogliendo la mia espressione tesa.

«Sì… o quasi» rispondo, cercando di sorridere. «È la prima volta che atterro su erba. L’asfalto è prevedibile, l’erba no. È più morbida, ma può nascondere insidie. Il Cessna 172 è progettato per questo, ma è comunque una prima volta per me.»

Veronika annuisce con un sorriso rassicurante. «Sei un ottimo pilota. Ce la farai.»

Mentre il Lago di Burano appare poco distante, Veronika scorre la guida tra le mani.

«Dice qui che è una riserva naturale del WWF, una delle più importanti d’Italia. Pare che ci siano tantissimi uccelli rari.»

«Sì, sì, molto interessante» rispondo, mantenendo lo sguardo fisso sulla rotta. «Magari ci torneremo un giorno per esplorarla meglio. Per ora, però, concentriamoci sull’atterraggio.»

La pista erbosa è difficile da individuare nella luce ormai calante. Mi affido ai riferimenti del tablet e agli strumenti, cercando di allinearmi correttamente.

Dal sedile posteriore, Skippy si raddrizza, le orecchie tese, lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Poi mi lancia un’occhiata rapida, come se avesse percepito qualcosa nell’aria, una tensione nuova.

Veronika, che ha colto il nervosismo della nostra navigatrice, cerca di alleggerire l’atmosfera.

«Se vuoi, ti racconto una delle mie barzellette terribili.»

«Non peggioriamo la situazione» ridacchio, mentre riduco gradualmente la velocità.

Finalmente scorgo la pista. Stringo i comandi. Il contatto con l’erba è più morbido del previsto, ma il Cessna sobbalza. Mantengo il controllo, rallento dolcemente e alla fine ci fermiamo.

Un lungo sospiro si fa sentire dalla cabina: Skippy, rilassata, emette un suono esagerato che ci fa scoppiare a ridere tutti.

«Direi che qualcuno non si fidava di me» dico, osservandola mentre si lascia andare sul sedile, finalmente rilassata. Poi, con un gesto studiato, afferra gli occhialoni e se li sistema in testa con solennità.

Veronika scoppia a ridere. «Non ci posso credere. Sei proprio tremenda!»

Ogni atterraggio è un nuovo inizio. Ogni volo è un passo verso qualcosa di più grande.

atterrati sull’erba (foto flight simulator 2024)

Un nuovo orizzonte ci attende

Mettere in sicurezza l’aereo su una pista erbosa richiede qualche attenzione in più. Assicuro i freni con cura, posiziono i cunei sotto le ruote e controllo che tutto sia stabile. È diverso dall’asfalto, più irregolare, meno prevedibile, ma c’è una certa soddisfazione nel vedere il Cessna 172 fermo, pronto per la prossima partenza.

Veronika si avvicina, sistemando il suo zaino con gesti lenti ma precisi. Mi guarda con un sorriso che tradisce una nuova energia, quella che arriva quando riesci a metabolizzare qualcosa che ti rattristava.

Le sorrido, poi lasciamo l’aereo alle nostre spalle mentre il cielo si oscura lentamente.

Il vento della sera porta con sé la promessa di nuove avventure.

Ogni viaggio finisce con un atterraggio ma le vere avventure iniziano sempre con un nuovo decollo.

03 + Diario di Viaggio Siena

Irina

Quando mi sveglio, il letto accanto a me è vuoto. Skippy, invece, dorme profondamente, acciambellata ai piedi del letto con il musetto nascosto, come sempre, sotto la giacchetta da pilota. Sorrido alla vista della sua piccola figura raggomitolata, poi mi alzo e seguo il profumo di caffè che sale dalle scale.

Apro la porta del patio e la vedo: Veronika è seduta con una donna, immerse in una conversazione che sembra quella di due vecchie amiche. Ridono, complici, come se si conoscessero da sempre.

«Camillo, vieni! Ti presento Irina» mi dice Veronika, sollevando lo sguardo con un sorriso luminoso.

Irina mi saluta con calore. Ha un viso sereno, lineamenti eleganti e un italiano fluido che tradisce un accento russo. Un dettaglio che spiega subito l’intesa con Veronika.

Mi unisco a loro, ancora un po’ assonnato, mentre la conversazione si sposta sul nostro viaggio. Irina ascolta con attenzione, le sue domande rivelano un interesse sincero. Ha lo sguardo di chi ha vissuto molto ma senza bisogno di raccontarlo apertamente. C’è un’eleganza nei suoi silenzi, una calma che la rende magnetica.

“Alcuni incontri arrivano nel momento esatto in cui devono accadere, senza bisogno di spiegazioni, solo con la certezza che lasceranno il segno.”

Irina seduta sotto il portico (foto leonardo.ai)

Carlo

Mentre chiacchieriamo, un uomo si avvicina al tavolo. Andatura calma, sguardo sicuro, il portamento di chi ha vissuto molto e affrontato ancora di più. Irina si alza per presentarlo.

«Camillo, questo è mio marito Carlo. Anche lui un pilota.»

La sua stretta di mano è ferma, il sorriso accogliente. Ha quell’aria di chi sa stare ovunque con naturalezza, senza bisogno di imporsi. Ci sediamo e la conversazione prende subito vita.

Carlo ha il tono di chi racconta storie senza ostentazioni ma con l’abilità di chi le ha vissute davvero.

«Ci siamo conosciuti durante un volo d’emergenza medica in Africa» racconta, lanciando un’occhiata a Irina. «Io ero il pilota, lei il medico responsabile.»

Irina sorride. «Era una missione rischiosa. Quando siamo finiti in una turbolenza, Carlo mi ha tranquillizzata con una battuta, come se stessimo sorvolando un campo di margherite.»

Si guardano con intesa, quella connessione silenziosa che solo chi ha condiviso il rischio e l’incertezza può avere. Raccontano di missioni in villaggi sperduti, voli sopra deserti e montagne, emergenze affrontate senza sapere cosa avrebbero trovato all’atterraggio.

«Non abbiamo mai avuto figli» dice Irina, con un sorriso malinconico ma sereno. «Abbiamo considerato nostri figli tutti i bambini che abbiamo aiutato e curato.»

Carlo annuisce. «E ora, finalmente, abbiamo tempo per noi. Viaggiamo senza fretta, scoprendo quei luoghi che un tempo sorvolavamo soltanto.»

Ogni parola pesa come un bagaglio pieno di esperienze. Ascoltandoli, sento che questo incontro cambierà anche il nostro viaggio.

“Alcuni viaggi si fanno per vedere il mondo, altri per incontrare persone che lo cambiano per sempre.”

Carlo (foto leonardo.ai)

Un invito inaspettato

Mentre la conversazione scivola su Siena, Carlo accenna ai suoi trascorsi nella città. «Ho studiato qui, è un luogo che mi ha formato. Conosco ogni angolo ma c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.»

Veronika si illumina. «Perché non venite con noi oggi? Sarebbe bellissimo avere voi come compagnia!»

Rimango sorpreso dalla proposta, ma l’entusiasmo di Veronika è contagioso. Carlo e Irina si scambiano un’occhiata complice, poi annuiscono con un sorriso.

«Sarà un piacere» dice Carlo.

Irina si appoggia allo schienale della sedia, divertita. «Ma ho sentito che non siete soli in questo viaggio.»

Veronika ride. «Vero. Abbiamo una piccola compagna di avventure. Vi avverto, ha un carattere tutto suo… e un talento speciale nel combinare disastri con incredibile disinvoltura.»

Come se avesse sentito, Skippy compare dal nulla, sbucando dalla porta con le orecchie dritte e un passo sicuro. Ma invece di avvicinarsi con grazia, scivola leggermente sul pavimento di pietra e finisce la sua entrata con un saltello maldestro per recuperare l’equilibrio.

Irina la guarda con un sorriso affettuoso. «Mi piace già.»

Skippy si ricompone con assoluta serietà, come se il piccolo incidente non fosse mai successo, poi si avvicina con aria attenta, osservando Irina e Carlo come se li stesse analizzando.

«Ecco a voi Skippy» dice Veronika, accarezzandole la testa. «La nostra mascotte, esploratrice e… beh, protagonista di più momenti comici di quanto vorrebbe ammettere.»

Carlo la osserva con divertimento. «Ha l’aria di chi sa il fatto suo. E ammiro il suo stile da pilota esploratrice. Mi piace!»

Skippy inclina la testa, come se stesse considerando il complimento, poi si arrampica sulle gambe di Veronika, prende un biscotto dal tavolo e si accoccola, come per dire che ora possiamo continuare a parlare.

Osservo la scena e incrocio le braccia. Avrei preferito venisse da me. Pilota e copilota, no?

Irina scuote la testa sorridendo. «Sì, decisamente una vera viaggiatrice.»

A quelle parole, Skippy alza il musetto con fierezza e si ricompone nella sua posa da navigatrice esperta, gonfiando leggermente il petto e posizionandosi con un’aria di professionalità quasi esagerata.

Mentre ci prepariamo a partire, l’atmosfera è già familiare. Siena ci aspetta e stavolta non saremo solo noi tre a scoprirla.

“Alcuni incontri avvengono per caso, altri sembrano scritti nel viaggio prima ancora di partire.”

la camera dell’agriturismo (foto leonardo.ai)

Siena e le storie del passato

Attraversiamo le strade di Siena seguendo Carlo, che si muove con la sicurezza di chi conosce ogni angolo ma con lo sguardo di chi continua a scoprire qualcosa di nuovo. Non ha fretta, come se volesse lasciare che i ricordi emergano da soli, al ritmo della città.

«Quando cammino qui» dice, «mi sembra di tornare agli anni dell’università. Ogni vicolo mi racconta una storia, come un vecchio amico che non vedo da tempo.»

«Ti senti ancora legato a Siena?» chiedo mentre ci addentriamo in una piazza meno affollata.

Carlo annuisce con un sorriso. «Non credo si possa mai lasciare davvero un posto come questo. Non sono nato qui, ma per anni è stata casa mia. Quando studiavo qui, c’era un’energia diversa… più studenti per le strade, più botteghe aperte. Ogni angolo aveva il suo piccolo mondo, la sua storia. Oggi qualcosa è cambiato, alcuni posti sono spariti, ma le mura, i vicoli, il cielo sopra questa città… quelli sono gli stessi. Siena è rimasta la stessa, eppure ogni volta sembra raccontare qualcosa di nuovo. Forse è solo il tempo che ci fa scoprire sfumature diverse.»

Lo ascolto parlare e mi rendo conto che, in pochi minuti, ha conquistato l’attenzione di tutti. Ha quella capacità di far sembrare ogni storia importante, di dare peso alle parole senza ostentazione. Anche Skippy, che solitamente è più selettiva nelle sue simpatie, lo segue con una devozione quasi assoluta.

Ogni tanto si ferma, osserva qualcosa che Carlo indica e poi lo raggiunge di corsa, quasi prendendo appunti invisibili.

Dietro di noi Veronika e Irina camminano vicine, ridendo e scambiandosi sguardi complici. Il loro legame cresce a ogni passo, come se si conoscessero da sempre.

«Qui sopra venivo spesso a studiare» dice Carlo, fermandosi su una scalinata panoramica. «Mi piaceva il silenzio, interrotto solo dai rintocchi delle campane.»

Si avvicina a una panchina e sfiora lo schienale con le dita. «Qui invece ho preso la decisione più importante della mia vita.»

Veronika si accosta. «Il volo?»

Carlo sorride. «Sì. Siena mi ha insegnato tante cose, ma quella sera mi ha dato la più importante: a volte non è il destino che decide, sei tu che devi fare il primo passo.»

Skippy, accovacciata accanto a lui, inclina la testa con un’aria attenta, come se cercasse di capire esattamente cosa intendesse dire. Poi si avvicina un po’ di più, posandogli una zampa sulla scarpa, con un gesto lento, quasi solenne, come a voler confermare che aveva preso la decisione giusta.

«A volte basta un attimo per cambiare tutto» aggiunge Carlo, abbassando lo sguardo su di lei con un sorriso.

Riprendiamo il cammino e Carlo ci porta davanti a un’insegna modesta. «Qui lavoravo mentre studiavo» dice con un sorriso nostalgico. «Ora il nome è cambiato, come anche i proprietari, ma l’atmosfera è sempre la stessa.»

Osservo la scena e incrocio le braccia, lanciando un’occhiata a Skippy, che continua a seguirlo come se fosse il suo nuovo mentore. Sorrido tra me e me. Va bene, posso accettarlo… per ora.

“Alcuni luoghi non si limitano a ospitarci ma ci plasmano, diventando parte di noi.”

Osteria di Carlo (foto Leonardo.ai)

Un piatto di ricordi

Ci sediamo e Carlo, senza nemmeno aprire il menu, suggerisce subito: «Dovete provare gli gnudi

Veronika annuisce con curiosità e poco dopo il cameriere porta i piatti ancora fumanti. Il profumo di burro e salvia si diffonde nell’aria, avvolgendoci in un’atmosfera di casa. La consistenza morbida della ricotta e il sapore delicato dei carciofi raccontano Siena in un boccone.

«È come un abbraccio» commenta Veronika, assaporando il primo morso.

La osservo sorridendo. Ha questo modo di perdersi completamente nei sapori, come se ogni piatto fosse una piccola scoperta da vivere fino in fondo.

Carlo sorride, osservandoci soddisfatto. «Non serve essere complicati per essere straordinari.»

«Infatti» aggiunge, poggiando la forchetta. «Gli gnudi nascono come piatto povero della tradizione contadina, fatti con pochi ingredienti semplici. Ma è proprio nella loro essenzialità che si trova la loro forza.»

Accanto a noi, Skippy fissa il piatto con interesse, le orecchie dritte e il musetto leggermente inclinato. La sua capacità di individuare il cibo buono con una precisione millimetrica è qualcosa che rasenta il soprannaturale.

Irina ride e le accarezza la testa. «Credo che anche lei approvi.»

Carlo posa la forchetta con un’espressione nostalgica. «Qui ho imparato che inseguire un sogno può essere più difficile di quanto immagini, ma ogni passo conta. E, come per questi piatti, spesso la semplicità è la chiave.»

“A volte basta un piatto semplice per raccontare la storia di un luogo e di chi lo ha vissuto.”

Gnudi di carciofo conditi con burro e salvia (foto Dall-E)

Passeggiando tra storia e curiosità

Usciti dall’osteria, Carlo continua a raccontare Siena con la voce di chi non si è mai stancato di lodarla.

«Vedete quel palazzo?» indica un’imponente costruzione in pietra. «È Palazzo Tolomei, uno degli edifici più antichi della città. Qui si decidevano le sorti politiche di Siena prima ancora che diventasse famosa per il Palio

Proseguiamo fino alla Fonte Gaia.

«Nel Medioevo questa fontana rappresentava la gioia della città» spiega Carlo. «Portare l’acqua fin qui fu un’opera d’ingegneria straordinaria.»

Veronika sfiora l’acqua con le dita. «Quindi il nome ‘Gaia’ viene da questo?»

Carlo annuisce. «Dalla gioia dei senesi nel vedere l’acqua scorrere dopo secoli di difficoltà.»

Poco dopo ci fermiamo ai piedi della Torre del Mangia.

«Sapete perché si chiama così?» domanda Carlo con un sorriso.

«Non ne ho idea» ammetto.

«Il suo primo custode era Giovanni di Balduccio, detto ‘Mangia’ perché spendeva tutto in cibo e divertimenti.»

Scoppiamo a ridere. «Quindi una delle torri più imponenti della città prende il nome da un gaudente?»

Carlo annuisce. «Ironico, vero?»

Skippy, che ci ha seguiti diligentemente, comincia a rallentare visibilmente provata. Carlo si china verso di lei. «Dai, piccola, sali qui.»

Senza farselo ripetere due volte, Skippy si arrampica sulle sue spalle, il musetto puntato in avanti come un piccolo capitano.

La scena mi strappa un sorriso, ma sento un leggero pizzico di gelosia.

«Mi sembra che stia scegliendo nuovi pupilli» commento scherzando.

Carlo ride. «Forse ha solo bisogno di un punto di vista diverso.»

Davanti alla Basilica di San Domenico, Carlo si ferma.

«Qui è conservata la reliquia della testa di Santa Caterina. Una giovane donna che riuscì a influenzare papi e re nel XIV secolo.»

Veronika osserva il portale decorato. «Deve essere stata una donna incredibile.»

«Immagina» continua Carlo, «una ragazza nata in una famiglia modesta, decisa a seguire la sua fede senza lasciarsi fermare da nessuno. A soli sette anni fece voto di consacrarsi a Dio. E da adulta, mentre il mondo era diviso tra guerre e lotte di potere, lei riuscì a convincere il Papa a riportare la sede pontificia a Roma

Veronika incrocia le braccia e la guarda con nuovo interesse. «Dev’essere stata incredibilmente determinata.»

Carlo annuisce. «Più che determinata, inarrestabile. Per alcuni una santa, per altri una ribelle.»

Mentre passeggiamo tra i vicoli, Carlo ci racconta di feste di contrada, di rivalità secolari e di storie che vivono ancora oggi nelle strade di Siena.

«Un giorno, durante il Palio, ho visto un anziano raccontare ai bambini di quando aveva corso per la sua contrada. Era come se stesse rivivendo ogni emozione. Siena è così: una città che non dimentica.»

Mi soffermo su quelle parole. I luoghi hanno davvero una memoria? A volte sembra che certi angoli di città trattengano le storie di chi li ha vissuti, come se aspettassero solo qualcuno disposto ad ascoltarle. E Siena, con i suoi vicoli e le sue tradizioni ancora vive, sembra essere uno di quei posti.

E forse è per questo che Carlo e Irina sembrano così a loro agio qui: non solo per il tempo che hanno vissuto in questa città, ma perché sanno riconoscere e raccogliere storie ovunque vadano.

Guardo la nostra piccola mascotte, ancora sulle spalle di Carlo, che osserva il panorama con un’aria fiera.

Mi rendo conto che non è solo Skippy ad aver trovato un nuovo mentore. Carlo e Irina hanno qualcosa di speciale: la capacità di farti sentire parte di una storia più grande. Non sono solo viaggiatori, sono custodi di esperienze, di scelte fatte e sogni seguiti.

Forse anche il nostro viaggio, in fondo, è proprio questo: raccogliere pezzi di storie, imparare da chi ha già trovato la sua rotta e, un giorno, essere noi quelli che raccontano.

Forse, per la prima volta, non è solo un viaggio. È un incontro che ci sta cambiando.

“Siena non è solo una città: è memoria vivente, un intreccio di storie che continuano a sussurrare tra le sue strade.”

Torre del Mangia Siena (foto di michelangelobuonarrotietornato.com)

Verso le Crete Senesi

Le ore a Siena scorrono leggere tra racconti e risate, tanto che quasi mi dimentico della sorpresa che ho preparato per Veronika. Poi, con discrezione, mi allontano un attimo e controllo il telefono: il pilota conferma che c’è posto per quattro. Perfetto.

«Dai, è quasi ora di muoverci» annuncio casualmente, guidando il gruppo verso l’auto. Durante il tragitto, Carlo racconta del suo ultimo viaggio in Portogallo, Irina di un borgo nascosto che hanno scoperto, mentre Veronika prende nota di ogni spunto con l’entusiasmo di chi ha già mille idee in testa. Skippy, accoccolata sulle sue ginocchia, osserva fuori dal finestrino con la sua solita attenzione, come se stesse studiando il percorso.

Poi, all’orizzonte, le Crete Senesi si aprono davanti a noi, un susseguirsi di colline ondulate che sembrano onde pietrificate nel tempo. L’oro della terra arata si mescola al verde delle vigne, e qua e là qualche cipresso solitario segna il paesaggio come una pennellata d’inchiostro su una tela antica.

Veronika si sporge, cercando di intuire la destinazione. «Ma… dove stiamo andando?» chiede con curiosità.

Sorrido, mantenendo il mistero. «Vedrai.»

Poco dopo appare il nostro punto d’arrivo: un campo aperto al centro del quale giace una mongolfiera ancora sgonfia, un gigante addormentato pronto a risvegliarsi.

“A volte il viaggio più emozionante è quello che non ti aspetti, quando le sorprese prendono il volo prima ancora di decollare.”

Crete senesi (foto di tuscanypeople.com)

La sorpresa svelata

Appena scendiamo dall’auto, Veronika si blocca. «Ma quella è una mongolfiera!» esclama, gli occhi spalancati dall’emozione.

«Tadaaa! Sorpresa!» rispondo ridendo.

Per un istante mi fissa, incredula. Poi corre verso di me e mi salta in braccio, ridendo e stringendomi forte. «Non ci posso credere! È incredibile, Cami

«Te l’avevo promesso» le sussurro. «Saremmo tornati a Siena e questa volta sarebbe stato speciale.»

Mentre lei saltella eccitata attorno alla mongolfiera, Carlo e Irina osservano la scena con sorrisi divertiti, ignari che la sorpresa sia anche per loro.

«Venite» dico con un sorriso complice. «La sorpresa è anche per voi.»

Irina si porta una mano alla bocca, gli occhi che brillano come quelli di una bambina davanti a un regalo inaspettato. Per un istante sembra quasi senza parole, poi sussurra: «Non ci posso credere… ho sempre sognato di volare in mongolfiera

Carlo mi guarda, poi mi stringe in un abbraccio forte e sincero. «Camillo, questo incontro non può essere stato casuale.»

E in effetti, guardandoli, mi viene da pensare che certe persone entrano nella nostra vita esattamente quando devono. Come se ci fosse una rotta già segnata, invisibile fino a quando non la si percorre davvero.

Il pilota si avvicina, accompagnato da una donna.

«Benvenuti! Io sono Marco e lei è mia moglie, Anna, che ci seguirà da terra con il furgone. Siete pronti per un’esperienza indimenticabile?»

Veronika continua a saltellare dall’entusiasmo e Skippy, che fino a quel momento era rimasta nello zaino, continuamente sballottata dai suoi movimenti, decide di trovare un rifugio più stabile. Con un balzo mi atterra sulle spalle, sbuffando e guardando storto Veronika.

Marco ride. «Direi che qualcuno apprezzerà la tranquillità del volo in mongolfiera

A quelle parole, Skippy si assesta con aria solenne sulle mie spalle, come un piccolo comandante pronto per il decollo. Poi annuisce leggermente, come se avesse approvato l’idea.

Ci scambiamo uno sguardo e ridiamo tutti insieme. L’attesa è finita.

È ora di volare.

“Ci sono sorprese che non si dimenticano perché non sono solo esperienze: sono promesse mantenute, sogni che prendono il volo.”

Marco e Anna intenti a preparare il volo (foto leonardo.ai)

Curiosità in volo

Il bruciatore si accende con un soffio profondo, un respiro di fuoco che gonfia lentamente l’enorme pallone sopra di noi. L’aria calda solleva il tessuto pesante e la mongolfiera prende forma davanti ai nostri occhi, un colosso pronto a staccarsi da terra.

Marco ci guida a bordo del cesto con la calma di chi ha fatto questa manovra centinaia di volte. «Tranquilli, non c’è nessuna sensazione di vuoto come sugli aerei. È un volo dolce, lento… più simile a galleggiare nell’aria.»

Veronika stringe la mia mano, gli occhi ancora carichi di emozione. «Non ci posso credere, Cami. È perfetto.»

Il fuoco ruggisce di nuovo sopra le nostre teste e poco dopo il cesto si stacca dal suolo con una leggerezza inaspettata. La terra si allontana, è una sensazione diversa da qualsiasi altro volo: non c’è velocità, nessuna cabina chiusa. Solo noi e l’aria aperta, il vento che accarezza il viso mentre la mongolfiera si solleva silenziosa.

Le Crete Senesi si stendono sotto di noi come un dipinto immobile. Colline dai profili morbidi si susseguono a perdita d’occhio, interrotte solo da cipressi e stradine che sembrano tracciate a mano.

Marco, con un sorriso soddisfatto, rompe il silenzio. «Sapete che la prima mongolfiera della storia volò con a bordo… una pecora, un’anatra e un gallo?»

Irina alza un sopracciglio divertita. «Un equipaggio decisamente insolito.»

«Era il 1783» continua Marco. «I fratelli Montgolfier volevano dimostrare che si poteva sopravvivere a un volo senza ossigeno, così testarono il pallone aerostatico con quegli animali. Dopo otto minuti di volo, atterrarono sani e salvi. Poco dopo tentarono con un equipaggio umano.»

Veronika ride. «Quindi, tecnicamente, noi stiamo seguendo le orme di una pecora?»

«Esatto.» Marco annuisce con un sorriso.

Skippy, ancora accovacciata sulla mia spalla, inclina il musetto e osserva la cesta sotto di noi, scrutandola con attenzione. Dopo un attimo di riflessione, si sistema meglio e lascia andare un piccolo sbadiglio soddisfatto, come se avesse ufficialmente approvato il mezzo di trasporto.

Una folata di vento sposta la mongolfiera, facendoci prendere velocità in una nuova direzione. La cesta oscilla appena e per un attimo sentiamo il cambiamento, come se il cielo stesso ci stesse indicando un’altra strada.

Marco ci indica un piccolo borgo in lontananza. «Quello è Chiusure. Famoso per il pecorino e per l’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore, una delle più belle della Toscana. Un tempo era un punto di riferimento per i pellegrini sulla Via Francigena.»

Un’improvvisa folata di vento ci spinge con dolcezza in un’altra direzione, facendoci sentire il cambio di rotta. Marco osserva il cielo per un istante, poi si volta verso di noi sorridendo. «Volare in mongolfiera è un’altra cosa rispetto all’aereo. Non c’è un motore per correggere la rotta, nessun controllo preciso sulla destinazione. Possiamo solo affidarci al vento e accettare il viaggio per come viene.»

Si ferma un attimo, lasciando che le sue parole si depositino. «A volte nella vita è lo stesso. Non sempre abbiamo il controllo, ma possiamo scegliere come goderci il viaggio.»

Irina gli prende la mano e lo osserva con affetto. «È una bella metafora.»

Annuisco, mentre il cielo intorno a noi assume sfumature più calde. «Vale anche per la vita.»

Skippy, ormai a suo agio, si accoccola meglio sulle mie spalle e lascia andare un piccolo sbadiglio soddisfatto. Sorrido tra me e me.

Per lei, questo è solo un altro modo di volare.

“In un volo in mongolfiera, come nella vita, non possiamo controllare tutto. A volte bisogna solo accettare di lasciarsi trasportare dal vento.”

in volo sulle crete senesi (foto flight simulator 2024)

Legami nel cielo

Mentre la mongolfiera scende lentamente, Marco si assicura che siamo pronti. «Ora tenetevi forte ai bordi del cesto e piegate leggermente le ginocchia» ci spiega con calma. «L’atterraggio può essere morbido o con qualche rimbalzo, dipende dal vento. Niente paura, è normale.»

Il cesto oscilla leggermente, e per un attimo ci prepariamo all’impatto. Poi, con un ultimo sobbalzo, tocchiamo terra.

«Benvenuti a terra!» esclama Marco con un sorriso.

Ci guardiamo intorno, come se dovessimo ancora realizzare la magia di ciò che abbiamo vissuto. Irina ha gli occhi lucidi, Carlo mi batte una pacca sulla spalla. «Camillo, non dimenticherò mai questo momento.»

Dopo i saluti, torniamo verso l’auto, ancora immersi nei pensieri. Il viaggio verso l’agriturismo è silenzioso ma non è un silenzio vuoto. Ognuno di noi porta dentro il peso leggero di questa esperienza, di un incontro che, in poche ore, ci ha lasciato più di quanto avremmo immaginato.

“Alcuni incontri durano poche ore ma il loro ricordo rimane per sempre, come un segno lasciato nel cielo.”

Atterrati dopo uno splendido volo (foto flight simulator 2024)

Un addio che è solo un arrivederci

Torniamo in agriturismo con le prime luci del tramonto che avvolgono la campagna. Il tempo sembra essersi fermato, ma sappiamo che è già il momento di ripartire.

Saliamo a recuperare le valigie. Carlo e Irina ci aspettano nel patio. Non servono molte parole: c’è quella consapevolezza silenziosa che a volte gli incontri più brevi lasciano le tracce più profonde.

«Non potevamo farvi partire senza salutarvi» dice Carlo con un sorriso sincero.

Veronika e Irina si stringono in un abbraccio lungo, mentre io e Carlo ci scambiamo una stretta di mano che vale più di tanti discorsi.

«Grazie, Camillo. Mi hai ricordato che, anche se nella vita ho fatto tanto, ho sempre qualcosa di nuovo da scoprire.»

Poi Carlo si china verso Skippy e, con un gesto affettuoso e solenne, le appunta sul petto una piccola spilletta dorata a forma di ali.

«Ogni buon navigatore ha bisogno di un distintivo.»

Skippy inclina la testa, osserva il regalo, poi scodinzola piano, come se avesse capito l’importanza del momento. Poi, con un gesto solenne, alza una zampina alla fronte in un piccolo cenno che assomiglia a un saluto militare, ringraziando Carlo a modo suo.

Veronika la accarezza, sussurrando: «Ogni tappa ci lascia un nuovo souvenir.»

Carlo ci osserva, poi si aggiusta la giacca e annuisce con un mezzo sorriso.

«Ricordatevi, il vento porta sempre dove bisogna andare. Chissà, magari ci rivedremo prima di quanto pensiate.»

Irina si avvicina a Veronika e, con un tono più intimo, le dice: «Spero davvero che un giorno ci rivedremo. Abbiamo ancora molto di cui parlare.»

Lasciamo Carlo e Irina allontanandoci lungo la strada sterrata, con la sensazione che, in qualche modo, le nostre strade si incroceranno di nuovo.

“Gli incontri più significativi non finiscono mai davvero: restano dentro di noi, come rotte pronte a incrociarsi ancora.”

La spilletta di Carlo nuovo souvenir di Skippy (foto DALL-E)

Verso la prossima tappa

Ci dirigiamo verso l’aeroporto, le colline senesi che scorrono accanto a noi come un ultimo saluto. In auto c’è uno strano silenzio.

Veronika rimane silenziosa, il viso ancora rivolto al paesaggio che scorre fuori dal finestrino. Ha le mani incrociate in grembo, strette come a trattenere qualcosa che non vuole lasciar andare. So che c’è qualcosa che la turba, ma lascio che i suoi pensieri restino sospesi, come la mongolfiera di poche ore prima.

Anche Skippy, acciambellata sul sedile posteriore, muove appena la coda e tiene le orecchie basse, anche lei riflette su qualcosa.

«Stavo pensando…» dico, cercando di ravvivare un po’ la situazione. «Domani ci aspetta il giro in elicottero all’Isola del Giglio. Ricordi che abbiamo prenotato per sfruttare il brevetto che presi tempo fa?»

Veronika si volta verso di me, gli occhi che si illuminano un po’, anche se meno del solito. «Davvero? Sarà un’esperienza nuova. Non ricordavo.»

Le mie parole sembrano passare in secondo piano per lei, ma colpiscono subito Skippy, che solleva le orecchie di scatto e mi fissa con sguardo acceso, già emozionata all’idea.

«Direi che qualcuno qui è già carica» rido, mentre Veronika rimane silenziosa, il viso ancora rivolto al paesaggio che scorre fuori dal finestrino.

Arrivati all’aeroporto, il Cessna 172 ci aspetta, pronto per il decollo. Il sole sta calando ed è il momento di lasciare Siena e puntare verso l’orizzonte.

“Ogni partenza è anche una promessa di nuove scoperte.”

03 – Volo Pisa Siena

Decollo da Pisa

In aeroporto l’aria è densa di calore e odore di carburante. Il Cessna 172 è già pronto in piazzola, il muso rivolto verso l’orizzonte come un cavallo impaziente alla partenza.

Prima di salire a bordo, facciamo un rapido pit stop nei bagni dell’hangar. Lo specchio riflette occhiaie leggere e capelli spettinati dal vento. Veronika si osserva e sorride con un’alzata di spalle.

«Non vinceremo un premio per l’eleganza oggi.»

«Fortuna che non ci giudicano per questo» ribatto, aggiustandole un ricciolo ribelle. «E comunque, sei sempre bellissima.»

Lei scuote la testa divertita e mi spinge via con un sorriso.

Pochi minuti dopo siamo a bordo. La checklist scorre veloce, le mani seguono gesti ormai familiari, e poi… il ruggito del motore riempie la cabina. Il Cessna prende vita, accelera sulla pista e si stacca dal suolo con leggerezza.

L’Arno si srotola sotto di noi come un nastro liquido mentre Pisa si allontana lentamente. La Torre Pendente, ormai solo un piccolo tratto bianco nel mosaico della città, sembra inclinarci un ultimo saluto. Fragile e perfetta allo stesso tempo.

«Chissà se qualcuno riuscirà mai davvero a raddrizzarla» mormora Veronika.

«Spero di no» rispondo, lanciandole un’occhiata complice. «È bella proprio perché è imperfetta.»

Dietro di noi, Skippy osserva fuori dal finestrino con le orecchie dritte. Non resisto a coinvolgerla:

«Ehi, Skippy, vuoi venire qui davanti? Oggi voliamo in prima fila.»

Non serve ripeterlo. Scatta in piedi e con un salto si sistema sulle gambe di Veronika, visto che dal sedile il cruscotto è troppo alto. I suoi occhiali da pilota, che sembravano un gioco, ora brillano di serietà.

«Tutto sotto controllo, comandante?» chiedo scherzando.

Skippy muove appena un orecchio e mi lancia uno sguardo rapido, come a dire “Ovvio.”

Veronika ride. «Adesso sì che mi sento al sicuro.»

La scena ci strappa un momento di leggerezza mentre puntiamo verso Pontedera. Il cielo si fa più aperto e luminoso, come se volesse accompagnare il nostro volo.

“Ogni decollo è un nuovo inizio. Ogni volo da una prospettiva diversa.”

Pisa vista durante il decollo (foto flight simulator 2024)

Pontedera: la casa della Vespa

Pontedera a un primo sguardo non svela subito la sua importanza eppure è qui che è nata un’icona: la Vespa.

«Lo sapevi che qui è nata la Vespa?» chiedo a Veronika, indicando la città sotto di noi.

Lei si volta curiosa. «Davvero? Non lo sapevo.»

«Sì» rispondo con un sorriso. «La Piaggio ha inventato la Vespa proprio qui e negli anni ’50 ha cambiato il modo di muoversi degli italiani. Era economica, semplice da guidare e diventò un simbolo di libertà e rinascita dopo la guerra.»

«Davvero? Mai avrei detto che fosse nata qui.» risponde sorpresa.

«E pensa che è diventata famosa in tutto il mondo. Ti ricordi Vacanze Romane? Quella Vespa con Gregory Peck e Audrey Hepburn è ancora un simbolo.»

Un ricordo riaffiora e non riesco a trattenere un sorriso. «Sai, il mio primo scooter è stato proprio un Piaggio, per la precisione un Piaggio Zip Disk. Avevo 14 anni, era rosso fiammante. Sembrava che il mondo intero fosse mio.»

Veronika ride immaginandomi ragazzino. «Un Zip Disk? Racconta!»

«Non era il più veloce ma era perfetto, almeno per me» continuo. «Ricordo ancora il rombo del motore, l’aria in faccia e quella libertà assoluta. È stato il mio primo amore a due ruote… forse è da lì che è iniziato tutto.»

«E poi sei passato dalle due ruote alle ali» aggiunge Veronika con un sorriso complice.

«Già» rispondo ridendo. «Dalla strada al cielo: non ho mai smesso di esplorare.»

Sorvoliamo i capannoni della Piaggio e il ricordo mi strappa un sorriso malinconico. «Pensare che tutto è partito da qui mi fa sorridere. Credo che la Piaggio abbia persino un museo dove custodisce la storia di questa icona.»

Veronika guarda fuori. «Quasi quasi lo segno per il futuro.»

Skippy, dal suo posto di co-pilota, muove le orecchie come se volesse approvare. Veronika le accarezza la testa. «Aggiudicato. Museo della Vespa nella lista.»

Il Cessna 172 continua a scivolare nell’aria lasciandosi alle spalle Pontedera. La città si allontana lentamente ma questo piccolo sorvolo ci ha ricordato che ogni viaggio comincia sempre da un primo motore, da una prima ruota… o, a volte, da un primo volo.

Ogni viaggio inizia da un primo motore, da una prima ruota… o, a volte, da un primo volo.

i capannoni della Piaggio a Pontedera (foto flight simulator 2024)

L’antica Volterra: storie di pietra e luce

Volterra ci aspetta più avanti, un antico gioiello che domina la cima di una collina. Mentre la raggiungiamo, Veronika cerca di sfogliare la guida della Toscana con Skippy ancora in piedi sulle sue gambe, un po’ troppo coinvolta nel ruolo di co-pilota. La sua coda finisce puntualmente tra le pagine, rendendo ogni lettura una vera impresa.

«Skippy, fermati! Non riesco a leggere!» esclama Veronika, trattenendo una risata mentre cerca di spostarla delicatamente. «Cami, direi che oggi sarà dura.»

Guardo Skippy di sfuggita: è serissima, con le orecchie dritte e lo sguardo fisso fuori dal finestrino.

«Lasciala fare il suo lavoro» le dico con un sorriso, mantenendo stabile la rotta.

Veronika sorride e insiste. «Vediamo se riesco comunque a raccontarti qualcosa. Allora… Volterra è famosa per le sue origini etrusche…» Sposta la coda di Skippy. «…e per l’alabastro

«L’alabastro?» ripeto, lasciandole spazio per proseguire.

«Sì, una pietra bianca e traslucida, leggerissima e luminosa. Da secoli la lavorano per creare oggetti sottilissimi, lampade e vasi che sembrano prendere vita quando la luce li attraversa.»

La città si avvicina sempre di più.

«Volterra è anche una delle città più antiche della Toscana. Prima gli Etruschi, poi i Romani e infine il Medioevo con le mura e le torri che vediamo ancora oggi.»

Osservo Veronika intenta a leggere la guida, ormai rassegnata a convivere con Skippy e la sua coda.

«Parla anche di un teatro romano, vero?»

«Sì, uno dei meglio conservati d’Italia. Pensa che lo hanno scoperto solo negli anni ’50 nascosto sotto un campo. Era rimasto lì per secoli come un tesoro dimenticato.»

Veronika si sporge leggermente fissando la città dall’alto. «Dev’essere stato un momento incredibile quello di riportare alla luce una meraviglia così.»

Sorvoliamo lentamente Volterra per goderci ogni dettaglio. Le mura medievali formano un anello che abbraccia il borgo, come a proteggerne il cuore antico. Al centro spicca una Torre con un’imponente struttura in pietra che si staglia contro il cielo.

«Sembra che sia la Torre del Palazzo dei Priori, la torre civica più antica della Toscana» continua Veronika, indicando la costruzione. «Fu costruita nel XIII secolo e pare che abbia ispirato addirittura il Palazzo Vecchio di Firenze

«Sembra un set perfetto per un film storico.» pronuncio, osservando la piazza fuori dal finestrino.

«Infatti, Volterra non è solo una delle città più antiche d’Italia ma è anche diventata una meta turistica per la sua atmosfera unica. E non solo per la storia: ha attirato artisti, scrittori… e anche qualche fan dei vampiri.»

Mi giro incuriosito. «Vampiri?»

Lei mi sorride. «Sì, grazie alla saga di Twilight. Qui è ambientata la storia dei Volturi, un antico clan aristocratico di vampiri. Anche se le riprese sono state girate altrove, Volterra è diventata una meta di pellegrinaggio per i fan.»

«Quindi oltre agli Etruschi e ai Romani, adesso abbiamo anche i vampiri.» le rispondo con tono scherzoso.

«Esatto, un mix perfetto di storia e leggenda.»

Skippy, immobile e concentrata, osserva tutto con aria professionale, questa volta più attenta agli indicatori e al navigatore.

Completo un giro sopra la città, la sua bellezza ci cattura. C’è qualcosa che la fa sembrare sospesa nel tempo.

«Rotta verso San Gimignano?» chiedo poi, spezzando il silenzio.

«Andiamo» risponde Veronika con un sorriso, arrendendosi all’idea che leggere la guida oggi sarà impossibile. «Vediamo quante torri ci aspettano questa volta.»

Le colline toscane tornano a srotolarsi sotto di noi mentre il sole scende ancora un po’ verso l’orizzonte. Direzione San Gimignano.

“Volterra è una città sospesa nel tempo, dove la pietra racconta storie antiche e la luce trasforma ogni dettaglio in memoria.”

sopra Volterra (foto flight simulator 2024)

San Gimignano: la Manhattan del Medioevo

Le colline si srotolano sotto di noi mentre San Gimignano si avvicina, la sua silhouette inconfondibile si staglia contro l’orizzonte. Le torri si ergono ancora fiere nel cuore del borgo medievale.

«Quante torri ha San Gimignano?» chiede Veronika con tono di sfida, tenendo la guida aperta ma strategicamente nascosta alla mia vista.

Skippy, ora più calma, è impeccabile nel suo ruolo di navigatrice, dandole il tempo di leggere comodamente la guida.

«Una volta erano una settantina, se non sbaglio» rispondo, regolando quota e velocità per goderci meglio la vista.

«Bravo» replica Veronika con un sorriso soddisfatto. «Per la precisione, erano 72. Oggi ne restano solo 13, ma bastano per farle guadagnare il soprannome di Manhattan del Medioevo

Scatta una foto veloce, poi continua: «Incredibile pensare che ne abbiano costruite così tante, soprattutto all’epoca.»

«Era sempre una questione di prestigio» le ricordo, lasciando scorrere lo sguardo sul borgo. «Le famiglie più ricche si sfidavano a chi costruiva la torre più alta, esattamente come succedeva a Bologna. Solo che qui la competizione pare essere andata avanti molto più a lungo.»

«Più alta la torre, più potente la famiglia» commenta Veronika a bassa voce, osservando il profilo delle torri e le ombre lunghe che si proiettano sulle stradine medievali.

«E più gradini da salire, direi» aggiungo ridendo.

Lei ride a sua volta e poi indica una delle torri più imponenti. «Quella deve essere la Torre Grossa, la più alta della città.»

«E quella laggiù?» rispondo abbassando leggermente la quota. «Quella più bassa, con una forma un po’ strana.»

Veronika scorre la guida con un’espressione incuriosita. «Oh, questa è interessante. Si chiama Torre del Diavolo

«Del Diavolo?» ripeto, sorvolando la struttura con uno sguardo più attento.

Lei assume un’aria teatrale e inizia a leggere a voce alta, con una lentezza volutamente drammatica.

«Si racconta che, tanto tempo fa, un ricco mercante possedeva questa torre. Un uomo superbo e molto avaro. Un giorno partì per un lungo viaggio, lasciando la sua casa così com’era.» Fa una breve pausa, lasciando che le parole si depositino.

Skippy, immobile sulle sue zampe, mantiene un’aria concentrata sulla strumentazione, ma la tensione nelle sue orecchie tradisce il fatto che stia ascoltando ogni parola.

«Quando tornò…» Veronika abbassa leggermente la voce, come se stesse per svelare un segreto. «…qualcosa era cambiato. La torre non era più la stessa.»

Mi volto verso di lei. «In che senso?»

Veronika lascia scorrere lentamente un dito sulla guida. «Era più alta.»

Skippy muove appena un orecchio ma rimane composta, con lo sguardo fisso sugli strumenti, come se l’argomento non la riguardasse affatto.

«Il mercante non riusciva a spiegarsi come fosse possibile. Nessuno aveva avuto il permesso di modificarla, nessun operaio l’aveva toccata, eppure la torre si era allungata di diversi metri… come se fosse cresciuta da sola.»

L’aria nella cabina sembra improvvisamente più densa.

Veronika continua con voce più bassa. «Poi la gente iniziò a parlare. Qualcuno raccontò di strane ombre tra le pietre… altri dissero di aver sentito sussurri nelle notti senza luna. E c’era chi giurava che la torre stessa… fosse stata toccata da qualcosa di innaturale.»

Skippy deglutisce appena, le zampe sempre piantate sulle gambe di Veronika, il musetto impassibile ma la coda che si muove appena, segno inequivocabile che sta trattenendo la tensione.

Veronika la ignora e prosegue, rallentando ancora di più il ritmo.

«Ma la parte più inquietante è un’altra…»

Skippy rimane immobile.

«Una notte…» Veronika si interrompe un istante, poi allunga le mani in un movimento fulmineo e pizzica i fianchi di Skippy esclamando Boooh!

La reazione è istantanea. Skippy balza in aria con un salto incredibile, scappa sui sedili posteriori in un tripudio di zampe e occhialoni storti, prima di raggomitolarsi dietro lo zaino di Veronika come se potesse difenderla, con il cuore chiaramente accelerato.

Scoppiamo a ridere mentre lei, ancora in posizione di difesa, ci osserva con occhi spalancati e sospettosi.

«Skippy, stavo solo scherzando!» ride Veronika, cercando di allungare una mano per accarezzarla.

Ma Skippy non si fida più. Rimane immobile per qualche secondo, poi con grande dignità si sistema gli occhialoni, torna lentamente al suo posto di comando e si siede, fissando Veronika con aria severa e zampe conserte.

«Ok, credo che per oggi tu abbia perso una navigatrice» commento ridendo.

«Mi farò perdonare» sorride Veronika. «Magari con un po’ di biscotti.»

Skippy la osserva di sottecchi, con una lentezza studiata, poi si riposiziona sul suo sedile e appoggia le zampe sulla strumentazione come se nulla fosse accaduto, ma il musetto accigliato lascia intendere che la questione è tutt’altro che chiusa. Uno sguardo che sembra dire questa me la paghi.

Completo un lungo cerchio sopra il borgo. Da quassù le torri sembrano dita di pietra che tentano di raggiungere il cielo, testimoni silenziose di storie di rivalità e ambizioni scolpite nel tempo.

La luce del sole che si abbassa è il segnale che è ora di proseguire.

“San Gimignano si erge tra le colline come una sfida al tempo: torri che raccontano potere, rivalità e il desiderio eterno di toccare il cielo.”

Sopra San Gimignano (foto flight simulator 2024)

Monteriggioni: la corona di pietra

«Eccola!» esclamo avvistando Monteriggioni, che da quassù sembra davvero una corona di pietra con le sue mura medievali perfettamente conservate e le torri merlate che si alzano come guardiani silenziosi.

Veronika abbassa la fotocamera, quasi sorpresa. «È minuscola ma sembra incredibile!»

Annuisco, rallentando il velivolo. «È piccola, sì, ma strategica. Ci sono stato anni fa in moto. È uno di quei luoghi che ti restano impressi: cammini tra le mura e ti sembra che il tempo si sia fermato.»

Lei mi lancia uno sguardo curioso. «Quindi lo conosci bene.»

«Bene no, ma abbastanza da ricordare qualcosa della sua storia» rispondo con un sorriso. «I senesi lo costruirono nel XIII secolo per difendere la via Francigena. Era un avamposto militare per proteggersi dai fiorentini. Da qui potevano controllare tutti i movimenti.»

Veronika guarda fuori mentre il borgo si avvicina sempre di più. «Ma è vero che Dante ne parla nella Divina Commedia

«Sì» rispondo con una risata. «Descrive le torri come enormi giganti che emergono dalla terra. Da terra sembrano schiacciarti con la loro imponenza… ma da quassù sembra quasi che stiano ancora vegliando sulla valle, immobili da secoli.»

Skippy, dalla sua posizione di co-pilota, è tornata ad osservare tutto con estrema serietà, visibilmente più calma dopo lo scherzo di Veronika.

Girandole intorno, Monteriggioni si mostra in tutta la sua bellezza: mura tonde che formano un anello perfetto e torri che spiccano contro il cielo della sera.

Veronika scatta una raffica di foto. «Piccolo, raccolto ma con una storia che sembra enorme.»

«E pensa che è così iconico da essere finito perfino nei videogiochi. In Assassin’s Creed lo hanno ricostruito fedelmente: mura, torri e perfino la piazza centrale. Ti sembra di camminarci davvero.»

Veronika alza un sopracciglio. «Quindi sei stato qui anche nei panni di un assassino medievale?»

Sorrido. «Diciamo che ho esplorato le sue mura in modi alternativi.»

Veronika scuote la testa sorridendo. «Ogni volta scopro un tuo passato segreto.»

«Aspetta di sentire il prossimo.» Poi, guardando Skippy con un sorriso, le chiedo: «Capitano, rotta verso Siena

Skippy si sporge leggermente in avanti sfiorando il tablet con la zampetta. Veronika ride di gusto. «Credo che abbia deciso di diventare anche navigatrice.»

Virando dolcemente verso sud lasciamo Monteriggioni alle nostre spalle. Le sue mura si rimpiccioliscono lentamente ma restano scolpite nella nostra memoria come un piccolo capolavoro medievale.

«Che programmi abbiamo per domani?» chiede Veronika, riponendo la guida nello zaino.

Fingo di pensarci un attimo, mantenendo lo sguardo fisso sulla rotta. «Non ricordo… Controlliamo l’agenda quando atterriamo» rispondo con un sorriso enigmatico.

Lei scuote la testa divertita. «Sai essere davvero misterioso quando vuoi.»

“Monteriggioni è un frammento di Medioevo sospeso nel tempo: mura perfette, torri imponenti e una storia che risuona ancora tra le pietre antiche.”

Monteriggioni vista dall’alto (foto flight simulator 2024)

Siena: tra Memorie e Tradizioni

Veronika osserva fuori dal finestrino in silenzio, la fotocamera dimenticata sulle ginocchia. Lo sguardo perso e malinconico mi dice tutto.

«Stai pensando a quella volta, vero?» chiedo con dolcezza.

Lei si volta verso di me con un sorriso appena accennato. «Sì… a quella mattina. Non me lo scorderò mai.»

Anche io la ricordo bene. Eravamo arrivati a Siena per un weekend. La sera prima era stata perfetta: una passeggiata nel centro storico, le luci calde che accendevano ogni angolo, Piazza del Campo piena di vita e, infine, una cena in una trattoria nascosta. Uno di quei posti dove il tempo scorre più lento, dove l’oste ti accoglie con un sorriso e un bicchiere di vino già pronto per te.

Ricordo ancora il profumo della porchetta toscana e il sapore intenso del rosso che avevamo scelto.

«E poi quella mattina…» continua lei.

«Non dimenticherò mai la tua faccia quando mi hai detto che stavi male» dico con dolcezza.

Veronika scuote la testa, coprendosi il viso con una mano. «Ero distrutta. Mi sentivo in colpa per aver rovinato tutto.»

«Ora come quella mattina ti ripeto che non hai rovinato nulla» rispondo. «Avevamo solo bisogno di una scusa per tornare. E guarda un po’: eccoci qua.»

Lei abbassa la mano, mi prende la mia e finalmente sorride più serena. «Avevi promesso che saremmo tornati. E avevi ragione, hai mantenuto la promessa.»

Sorvoliamo la periferia e il centro storico inizia a svelarsi. Le torri del Duomo di Siena svettano nel cielo e Piazza del Campo si apre come un ventaglio perfetto nel cuore della città.

«Eccola…» mormora Veronika, sollevando finalmente la fotocamera.

Inizio un lungo giro sopra Siena, lasciando che ogni dettaglio si imprima nella memoria: i tetti rossi, le strade strette, le torri e i campanili che sembrano raccontare storie antiche.

«Ricordi cosa ci disse l’oste sulle contrade?» chiedo, cercando di coinvolgerla e farle pensare ad altro.

Veronika annuisce, il sorriso più vivo. «Ci spiegò che Siena è divisa in 17 contrade: l’Oca, il Drago, la Torre… ognuna con i propri colori, simboli e tradizioni, e che l’appartenenza a una contrada è quasi una questione di identità per i senesi.» Fa una piccola pausa, poi continua: «Ricordo anche che ci parlò delle rivalità storiche tra alcune di esse, rivalità che si accendono soprattutto durante il Palio.»

«Già» aggiungo. «Il Palio di Siena. La corsa di cavalli più famosa d’Italia. Più che una gara, è una battaglia d’onore.»

Faccio un altro giro sopra Piazza del Campo e mi torna in mente la voce profonda dell’oste che, con gesti teatrali, ci raccontava: «La città cambia completamente durante il Palio. Le strade si riempiono di bandiere, tamburi e canti, e ogni contradaiolo vive quei giorni con un’intensità unica.»

«Ricordo che ci raccontò delle rivalità» aggiunge Veronika. «Alcune contrade non si sopportano da secoli. Eppure, tra tutte le tensioni, ci sono anche alleanze, amicizie, legami che si tramandano di generazione in generazione.»

Skippy, che fino a quel momento sembrava disinteressata, all’improvviso gira la testa osservandoci e annusando l’aria con fare interrogativo.

«Secondo me vuole sapere se durante il Palio si mangia anche qualcosa» dico ridendo.

Veronika scoppia a ridere e le gratta la testa. «Probabilmente, piccola esploratrice. Dovrai attendere l’atterraggio però.»

Skippy inclina il musetto, riflettendo, poi torna a concentrarsi sugli strumenti con aria professionale.

«Chissà» dice Veronika, «forse un giorno potremo assistere al Palio di persona. Deve essere un’esperienza incredibile.»

«Sarebbe fantastico» rispondo. «Per ora godiamoci questa vista privilegiata su Siena

Il sole, ormai basso, tinge la città di sfumature dorate e allunga le ombre delle torri sulle strade medievali. È un momento perfetto, sospeso tra passato e presente.

Veronika osserva la città sotto di noi, poi si volta con un sorriso. «Sai, forse in fondo è proprio questo il bello dei viaggi.»

«Cosa?»

«Non si tratta solo di vedere posti nuovi. A volte si torna indietro ma con occhi diversi.»

Mi stringe la mano con dolcezza. «E con promesse che, a volte, portano più lontano di quanto si immagini.»

“Siena non è solo una città, è un’anima divisa in contrade, un cuore che batte al ritmo del Palio e una storia che si rinnova ogni giorno.”

Sopra Siena (foto flight simulator 2024)
NOTA la sfocatura è voluta perchè Siena non è riprodotta bene in FS24 ed era un peccato mostrarla male

Atterraggio e agriturismo

«Ok ragazze, prepariamoci all’atterraggio, la fame si fa sentire» annuncio, portando il Cessna 172 verso la pista. Il volo si conclude con un atterraggio leggero mentre il motore si spegne con il suo ultimo ruggito e il silenzio della sera ci accoglie.

Ultimate le pratiche aeroportuali, carichiamo gli zaini sull’auto a noleggio e in pochi minuti ci lasciamo l’aeroporto alle spalle. La strada si snoda tra colline e cipressi in un iconico paesaggio toscano. L’aria profuma di erba e di terra umida. Ogni curva sembra portarci più vicino alla quiete che stavamo cercando.

Dopo qualche minuto il nostro agriturismo compare in cima a una collina. Un casolare antico di pietra con le finestre illuminate che sembrano aspettarci.

Scendo dall’auto con gli zaini mentre Veronika si ferma per un momento a osservare il panorama. Il silenzio è quasi surreale, rotto solo dal fruscio del vento e dal canto dei grilli.

«Perfetto» mormora lei con un sorriso soddisfatto.

Skippy, già impegnata a ispezionare ogni angolo, si allontana di qualche metro con la coda alta, annusando l’aria con attenzione. Poi si gira verso di noi e inclina la testa, come per dire: “Bene, ma ora si mangia?”

«Credo che una doccia calda sarà il miglior finale per questa giornata» dico con tono stanco, mentre varchiamo l’ingresso dell’agriturismo. Il profumo di legno e di cucina toscana ci avvolge immediatamente, caldo e accogliente, come la promessa di un rifugio dove riprenderci dopo questa intensa giornata.

«Se il profumo della cucina è un indizio, direi che questa giornata avrà un finale perfetto.»

“Tra le colline di Siena il tempo rallenta e il silenzio della campagna diventa la voce più sincera del viaggio.”

02 + Diario di Viaggio Pisa

Pisa di sera

Le strade di Pisa a quest’ora hanno un suono diverso. Il rumore delle biciclette che sfiorano i ciottoli, il passo lento di qualche turista rimasto incantato dalla città e il vento leggero che scivola tra i vicoli. Il brusio del giorno è ormai svanito, lasciando spazio a un silenzio che amplifica ogni dettaglio.

La nostra destinazione è Piazza dei Miracoli, che di notte non abbiamo mai visto. Pisa ci è familiare, ma senza la folla, immersa nella luce dorata dei lampioni, sembra rivelarci un segreto che durante il giorno resta nascosto.

Skippy, ancora mezza addormentata, si è sistemata sulle mie spalle, lasciandosi trasportare senza opporre resistenza. Le sue zampette penzolano, gli occhialoni leggermente storti sul muso. Ogni tanto sbadiglia piano, come se stesse ancora elaborando dove siamo e cosa stiamo facendo.

Poi, all’improvviso, la piazza si apre davanti a noi. La Torre Pendente, così iconica e insolita, sembra ancora più affascinante nel silenzio della sera. Accanto a lei, il Duomo di Pisa e il Battistero di San Giovanni brillano come gioielli antichi, la luce soffusa ne esalta ogni curva, ogni dettaglio.

“Non c’è paragone con il giorno” commenta Veronika mentre ci fermiamo a osservare il complesso. “Visto così sembra un altro mondo.”

Lascio che la calma del momento ci avvolga. Questa non è la solita Pisa che conosciamo. È un luogo sospeso nel tempo che si concede solo a chi arriva tardi o si sveglia presto.

Poi, all’improvviso, Skippy si rianima. Non perché abbia avuto un’illuminazione storica o architettonica, ma per un motivo molto più terreno. Il suo naso si muove veloce, fiuta l’aria con crescente interesse. Dopo un ultimo sbadiglio, solleva la testa e, con grande solennità, punta la Torre. Per un istante sembra osservarla con rispetto, quasi meditativa.

Ma poi accade l’inevitabile: le narici si dilatano, il muso vibra, e in un lampo si fionda giù dalle mie spalle con l’agilità di un ninja sonnolento. A terra, si blocca per un secondo come se stesse decifrando un codice segreto nell’aria, poi parte a passo deciso nella direzione del profumo che l’ha colpita, con l’andatura di chi ha appena trovato il vero senso della vita.

Veronika scoppia a ridere. “A quanto pare ha deciso dove andiamo adesso.”

“Non so se è più affascinata dalla Torre o da quello che stanno cucinando laggiù.”

Skippy si volta verso di noi con aria impaziente, poi riprende la marcia con la determinazione di un generale che guida le truppe. E, a dire il vero, nemmeno noi resistiamo all’idea di seguirla.

“Di notte Pisa svela la sua anima nascosta: meno frenesia, più magia. Un luogo che cambia volto e si concede solo a chi sa osservarlo nel silenzio.”

Piazza dei Miracoli in notturna (foto foto Flight Simulator 2024)

Un assaggio di Pisa

E a quanto pare, Skippy aveva ragione.

Ora anche noi sentiamo quel profumo avvolgente: forno caldo, farina tostata e una nota salmastra che si mescola all’aria fresca della sera. Seguiamo il nostro segugio improvvisato fino a un piccolo locale d’angolo, poco più di un banco con una vetrina illuminata e qualche sgabello all’esterno. Dietro il bancone, un uomo estrae una teglia fumante da un grande forno, mentre un cliente prende il suo pezzo servito su carta oleata.

“La cecina” legge Veronika su un’insegna scritta a mano mentre aspettiamo in fila. “Dobbiamo proprio provarla.”

Fortunatamente la fila è corta. C’è solo un cliente prima di noi.

Skippy si siede, paziente. Per tre secondi. Poi la coda batte un ritmo crescente sul pavimento. Un lieve tremolio le percorre le zampe mentre fissa la teglia fumante come se potesse teletrasportarla tra le sue fauci.

“Skippy, calma” mormoro.

Lei non mi degna di uno sguardo. Quando il cliente prende il suo pezzo, lo segue con lo sguardo così intensamente che per un attimo temo voglia placcarlo.

Finalmente arriva il nostro turno e prendiamo tre porzioni, sottili e fragranti, ancora calde tra le mani. Al primo morso la consistenza sorprende: morbida all’interno con un leggero strato croccante in superficie. Il sapore è semplice e intenso, un equilibrio perfetto tra il dolce della farina di ceci e il sale che ne esalta il gusto.

“Buona” commento mentre Skippy, con un pezzo tra le zampe, lo fissa come se fosse la scoperta del secolo. Poi lo annusa con aria solenne, lo lecca con cautela… e infine lo divora con la delicatezza di un tornado.

Il gestore ci osserva con un sorriso divertito. “Siete turisti, vero?”

Annuiamo e Veronika, incuriosita, gli chiede di raccontarci qualcosa su questo piatto.

“Ah, la cecina è roba antica signorina” dice appoggiandosi al bancone. “Dicono sia nata per caso, nel 1284. Una nave genovese si beccò una tempesta e i barili di farina di ceci si rovesciarono, finendo nell’acqua di mare. Per non buttarla via i marinai la fecero asciugare al sole… ed eccola qui.”

“Una leggenda che sa di mare e di viaggi, interessante” commenta Veronika, mordendone un altro pezzo.

Finito di mangiare ringraziamo e riprendiamo il cammino, lasciandoci alle spalle il piccolo locale e il suo profumo invitante. Pisa ci ha già sorpresi e domani ci aspetta un’altra prospettiva, quella dall’alto della Torre.

“A volte la storia più autentica di un luogo non si trova nei monumenti ma nei sapori tramandati nei secoli.”

Cecina Ripiena (foto Dall-E)

La sveglia e il siparietto con Skippy

La sveglia suona presto ma la stanza è ancora avvolta nella penombra. Io e Veronika siamo già in movimento: lei organizza lo zaino mentre io cerco di raccogliere i pensieri sparsi della mattina.

Skippy, invece, sembra avere un’altra opinione su come iniziare la giornata. È ancora sdraiata sul letto, spalmata come un tappetino con il musetto nascosto nella giacchetta da pilota. Si direbbe pronta a battere ogni record di non-reattività.

“Skippy, è ora di andare!” dico con il tono di chi vuole essere fermo ma gentile.

Niente. Neanche un’orecchia che si muove.

“Dai, non fare storie” aggiunge Veronika, scuotendola delicatamente. “Ti aspetta la Torre di Pisa!”

Un occhio si apre pigramente ma dura solo un secondo. Poi, con un lungo sospiro di protesta, si gira dall’altra parte infilando ancora più a fondo il musetto sotto la giacchetta.

Proviamo di tutto: un biscotto sotto il naso, il tintinnio delle chiavi e persino un conto alla rovescia. Ma niente: Skippy non collabora. Quando la solleviamo, si lascia andare mollemente come un sacco di farina, con uno sguardo che sembra dire ‘era proprio necessario?’

Alla fine Veronika le toglie la giacchetta dalla testa con delicatezza e la nostra piccola mascotte si arrende, lanciandoci uno sguardo offeso prima di infilarsi di malavoglia nel mio zaino.

“Almeno lei ha il vantaggio di vestirsi sempre allo stesso modo” ride Veronika mentre usciamo dalla stanza.

“Ogni viaggio inizia con una sveglia… e con qualcuno che non vuole alzarsi.”

Skippy dormigliona (foto Dall-E)

L’incontro con la Torre e Giorgio

Piazza dei Miracoli è avvolta nella calma del mattino quando incontriamo Giorgio, la nostra guida. È un uomo robusto, con occhiali tondi e un sorriso cordiale che ci mette subito a nostro agio.

“La Torre vi aspetta” dice con entusiasmo, indicando il campanile. “Ci hanno messo quasi due secoli a finirla. Le guerre, la mancanza di fondi e qualche pausa fortunata hanno rallentato i lavori… ma forse è grazie a questo che è ancora in piedi.”

Mentre ci avviciniamo all’ingresso Giorgio ci racconta un dettaglio che non conoscevamo.

“Sapete che le campane erano sette, una per ogni nota musicale? Nei giorni di festa il suono riempiva tutta la piazza.”

La salita alla Torre comincia. I gradini, consumati dal tempo, seguono una pendenza quasi surreale e ad ogni passo sembra di perdere leggermente l’equilibrio. Skippy, finora raggomitolata nello zaino, si sveglia all’improvviso, probabilmente infastidita dal movimento. Con aria contrariata infila fuori il musetto e ci lancia uno sguardo che dice tutto.

“Non sembra molto entusiasta” ride Veronika.

Giorgio sorride, fermandosi per una breve pausa. “Neanche noi pisani siamo certi di come faccia a stare in piedi” scherza. Poi aggiunge, con un tono più serio: “Si dice che Galileo abbia lasciato cadere due sfere da questa torre per dimostrare che la gravità agisce nello stesso modo su tutti i corpi.”

“Allora è successo davvero?” chiedo, incuriosito.

Giorgio si stringe nelle spalle con un sorriso enigmatico. “A volte le leggende raccontano più della realtà.”

L’ultimo gradino ci porta in cima e per un attimo tutto sembra fermarsi. Non c’è più la pendenza della salita né l’incertezza dell’inclinazione sotto i piedi. Solo il vento che accarezza il viso e la città che si svela a 360 gradi.

Pisa non si spalanca davanti a noi con imponenza ma si lascia scoprire un pezzo alla volta. I tetti delle case sembrano più bassi da qui, i vicoli più stretti, il ritmo della città più lento. L’Arno serpeggia tra i palazzi, non come un confine, ma come un filo che tiene tutto insieme.

Più in là le mura medievali che racchiudono il centro si distinguono ancora e fuori da esse la città cambia forma, si distende, fino a sbiadire nelle campagne circostanti. Non c’è un’unica prospettiva, tutto dipende da dove ci si affaccia, come se Pisa avesse mille volti diversi, ognuno nascosto dietro l’altro.

Skippy, ormai sveglia del tutto, si sporge dallo zaino. Il vento le scompiglia il pelo mentre rimane immobile a osservare il panorama, come se stesse cercando di memorizzare ogni dettaglio.

Giorgio si ferma accanto a noi e rompe il silenzio con una riflessione che ci sorprende.

“Sapete perché la Torre non cade? Perché si adatta. Si è inclinata, sì, ma non ha mai smesso di cercare un equilibrio con il terreno su cui poggia.” Poi continua riflessivo: “Non sempre resistere è la risposta. A volte, il segreto per restare in piedi è sapersi adattare.”

Veronika gli risponde fissando l’orizzonte. “Direi che è una bella lezione, anche per noi.”

È uno di quei momenti che rimangono impressi più delle immagini. Scesi dalla Torre, salutiamo Giorgio con una stretta di mano sincera e un grazie che va oltre la semplice visita. Questa mattina non abbiamo solo ammirato la vista. Abbiamo portato via una lezione che resterà con noi.

“Non sempre resistere è la soluzione. A volte, per restare in piedi, bisogna sapersi adattare.”

Giorgio la guida che ci ha accompagnato sulla torre. (foto leonardo.ai)

Foto di rito e risate in piazza

Lasciamo la Torre con il pensiero ancora sospeso tra le parole di Giorgio. Ma appena scendiamo in piazza, la realtà ci richiama subito all’ordine: il momento delle foto di rito è inevitabile.

“Ok, tocca a te” ride Veronika, posizionandomi con le mani tese verso la Torre. Mi muovo avanti e indietro, cercando di allinearmi perfettamente mentre lei aggiusta l’inquadratura con la serietà di un direttore d’orchestra. Dopo qualche tentativo finalmente lo scatto arriva: un’illusione perfetta che sembra raddrizzare secoli di pendenza.

Poi è il suo turno. Con la grazia che solo lei possiede sembra davvero mantenere la Torre in equilibrio con un tocco delicato e naturale. Le scatto una raffica di foto, catturando ogni istante mentre lei si diverte a cambiare posa.

E infine, arriva il turno di Skippy, l’inaspettata protagonista.

Ancora un po’ assonnata e con il musetto perplesso proviamo comunque a farle imitare la nostra posa. Naturalmente, lei ha altre idee: dopo qualche esitazione scivola in avanti con le zampette tese, finendo con un’espressione tra il confuso e il disperato come se davvero stesse cercando di afferrarsi alla Torre per non cadere.

“Questa è perfetta!” esclama Veronika, scoppiando a ridere così forte da attirare qualche sguardo curioso. “La Torre non cade ma Skippy sì!”

Guardiamo le foto: un piccolo capolavoro di comicità. Con gli occhialoni storti e quella posa goffa, Skippy sembra davvero l’incarnazione della mascotte perfetta: sempre fuori dagli schemi ma capace di rendere ogni momento unico.

“Le foto migliori non sono quelle perfette ma quelle che catturano l’anima del momento.”

Skippy che cade a Piazza dei Miracoli (foto Dall-E)

Una pausa nel verde

Dopo la visita alla Torre di Pisa abbiamo ancora un po’ di tempo prima di ripartire. Decidiamo di fermarci in un piccolo parco poco distante per riposare un po’.

Ci sediamo su una panchina lasciando che la città riprenda il suo ritmo intorno a noi. Le parole di Giorgio ci tornano in mente, il suo modo di raccontare la Torre non solo come un’opera architettonica ma come una lezione di adattamento, di equilibrio, di resistenza senza ostinazione ci hanno colpito.

“Non serve resistere a tutti i costi” aveva detto. “A volte basta piegarsi un po’ per restare in piedi.”

Veronika fissa il cielo attraverso i rami degli alberi, il pensiero ancora sospeso tra quelle parole. “Chissà quante cose vedremmo diversamente se imparassimo ad adattarci, invece di opporci sempre alle difficoltà.”

Annuisco silenzioso, osservando il via vai della gente nel parco. Bambini che corrono, coppie sedute sull’erba, persone immerse nei loro pensieri.

A pochi passi da noi Skippy ha trovato nuovi compagni di gioco. Un gruppetto di bambini si è accovacciato accanto a lei, intrecciando piccoli ramoscelli raccolti da terra. Lei li osserva con curiosità, poi si lascia coinvolgere, allungando le zampette e annusando ogni nuova creazione con attenzione.

Quando arriva il momento di andare, Skippy ci raggiunge trotterellando con la sua solita aria soddisfatta tra i saluti dei bambini.

“Ma… cos’è questo?” dice Veronika tirando fuori un piccolo braccialetto intrecciato con ramoscelli sottili dallo zaino mentre lo caricava in spalla. Lo rigira tra le dita con un sorriso divertito mentre la nostra mascotte si mette a osservare lontano con aria innocente.

“L’hanno fatto i bambini?” chiede Veronika, lanciandole uno sguardo complice. “Un altro souvenir per la tua collezione?”

Come al solito Skippy evita ogni responsabilità. Si volta con aria impassibile, fingendo di non aver sentito, come se la conversazione non la riguardasse affatto.

Veronika scoppia a ridere. “Ormai abbiamo una piccola collezionista di ricordi. Questo lo mettiamo accanto al tappo di Firenze.” Con un gesto delicato fa scivolare il braccialetto nello zaino e accarezza la testa di Skippy. “Se continua così, a fine viaggio ci ritroveremo con un museo intero di storie da raccontare.”

Diamo un ultimo sguardo a Pisa. Un’altra città che ci ha lasciato qualcosa, un altro ricordo che si aggiunge alla nostra avventura.

La prossima tappa ci attende.

“Ogni viaggio lascia un segno, anche nei dettagli più piccoli: un oggetto intrecciato a mano, un incontro fugace, un’idea che resta.”

02 – Volo Firenze Pisa

Decollo da Firenze: un ultimo sguardo alla città

In aeroporto il Cessna 172 ci attende sulla piazzola, pronto per il prossimo volo. Salire a bordo, rullare in pista, sentire il motore vibrare sotto le mani: un rituale che sta diventando naturale, fluido come il volo stesso.

L’autorizzazione dalla torre, un cenno d’intesa tra me e Veronika, il rombo del motore riempie la cabina e, in pochi istanti, siamo di nuovo in volo. Le ruote lasciano terra con leggerezza mentre Firenze si distende alla nostra destra, avvolta in quella luce dorata del tramonto che la rende quasi irreale.

“Non sembra vero di aver fatto così tante cose in un solo giorno” mormora Veronika, osservando la Cupola del Brunelleschi in lontananza. Resta in silenzio per un istante, poi sorride. “Chissà come la vedremo la prossima volta.”

“Firenze non cambia, siamo noi a vederla con occhi nuovi ogni volta che torniamo.”

Firenze in lontananza (foto da Flight Simulator 2024)

Sorvolo di Prato

Poco dopo Prato compare all’orizzonte: un intreccio ordinato di tetti e mura antiche. Io mantengo la rotta mentre Veronika, con la guida della Toscana aperta sulle ginocchia, alterna lettura all’osservazione fuori dal finestrino con la sua solita espressione attenta.

“Guarda laggiù” dice, indicando con la mano. “Qui parla del Castello dell’Imperatore… uno dei pochi di origine sveva in Italia. Lo fece costruire Federico II per consolidare il suo dominio sulla Toscana.”

“Svevo?” chiedo, cercando di ricordare bene il termine.

“Sì!” Veronika annuisce. “Venivano dal sud della Germania, gente pratica e senza troppi fronzoli. Se i castelli toscani sono eleganti signori rinascimentali con la barba curata, questi sono guerrieri con la mascella quadrata e la spada in mano. Pietra, linee dritte, funzionali e massicci, niente orpelli inutili.”

Skippy gonfia il petto, si mette in posa da guerriera sveva, poi guarda le sue zampette corte… e sospira rassegnata. La scena, più buffa che minacciosa, ci strappa una risata.

“Come un pezzo di Germania trapiantato in Toscana, quindi” commento, lanciando un’occhiata giù. Il Castello spicca per la sua forma geometrica e massiccia, un contrasto netto con il resto della città.

“Ma non c’è solo questo” aggiunge Veronika, scorrendo le righe della guida. “Prato ha sempre trasformato tessuti: prima con la lana rigenerata, oggi con il riciclo all’avanguardia.”

“Economia circolare prima che fosse di moda” osservo con un sorriso.

“Esatto!” ribatte lei, scattando una foto del panorama. “Chi lo avrebbe detto che da questa città partivano tessuti per tutta Europa?”

Nel frattempo Prato scorre sotto di noi e il Castello svanisce dalla vista, lasciando il posto alle colline morbide del Montalbano, distese tra vigneti e oliveti.

“Prato è sempre stata all’avanguardia: un tempo capitale del tessile, oggi esempio di economia circolare. Un’arte che trasforma e rinnova senza mai dimenticare la propria storia.”

Il Castello di Prato visto dall’alto (foto da Flight Simulator 2024)

Omaggio a Vinci: il volo del genio

Per superare le colline devo guadagnare quota: accelero leggermente e il Cessna 172 risponde con un ronzio più intenso. È un passaggio che ho già fatto ma ogni volta avverto quella sottile pressione alle orecchie che mi ricorda quanto velocemente stiamo salendo. Un paio di deglutizioni e il fastidio si scioglie, lasciando spazio solo alla meraviglia del panorama.

Superate le colline, Vinci ci accoglie sotto un cielo che sfuma nel viola. Sotto di noi il borgo appare piccolo e solenne con le luci dei lampioni già accese.

“Guardate” dico indicando il borgo che si svela tra i rilievi. “Eccola lì: Vinci. Veronika la ricordi?”

Lei abbassa la fotocamera e sorride. “Come potrei dimenticarla? Il nostro weekend in moto… Le stradine strette, il museo. Era come se Leonardo fosse ancora lì a osservare ogni visitatore.”

Lascio che lo sguardo si perda tra i tetti del borgo. Questa è la sua terra, il punto da cui tutto ha avuto inizio.

“La casa natale di Leonardo, piccola e solitaria tra le colline, aveva una finestra spalancata sulla sua ispirazione: la luce che mutava col giorno, il vento che accarezzava gli ulivi, gli uccelli che si libravano nel cielo. Bastava affacciarsi per capire da dove fosse nata la sua ossessione per il volo.”

Veronika sfoglia nuovamente la guida che tiene sempre sulle ginocchia. “Dice che Leonardo studiava gli uccelli fin da ragazzo, cercando di capire come riuscissero a sfruttare l’aria.”

Mi illumino. Leonardo non è mai stato solo un nome sui libri per me. È stato una scoperta continua, un’ispirazione senza tempo.

“Sì” rispondo con entusiasmo. “Da bambino ho letto e visto di tutto su di lui. Era ossessionato dal volo. Disegnava ali meccaniche, alianti e persino la vite aerea, un prototipo di elicottero. E pensa: tutto questo nel 1400. Parlava di resistenza dell’aria, di profili alari… stava costruendo il futuro senza nemmeno saperlo.”

Veronika osserva il borgo sotto di noi, quasi ipnotizzata. “Era avanti di secoli.”

“Molto più di un inventore” aggiungo, completando un primo giro sopra Vinci. “Leonardo non vedeva il volo solo come scienza ma come un sogno, una libertà conquistata. Ha scritto che ‘chiunque proverà il volo camminerà sulla terra con lo sguardo rivolto al cielo, perché là è stato e là desidererà tornare’. Non era solo ingegneria, era poesia.”

Un ultimo passaggio su Vinci, quasi un saluto al genio che sognava il volo prima che fosse realtà.

Davanti a noi i lampioni disegnano un sentiero luminoso nel crepuscolo, una linea perfetta che sembra indicarci la rotta.

“Guarda” dico a Veronika, indicando la strada che si distende sotto di noi. “È come se ci stesse mostrando la via.”

Lei segue il tracciato con lo sguardo, osservandolo dissolversi verso l’orizzonte, dritto e deciso. “E punta esattamente verso Lucca.”

Allineo il Cessna alla sua traiettoria, lasciando che la strada diventi il nostro riferimento naturale. Come se, da Vinci, il viaggio fosse già stato tracciato.

Davanti a noi Lucca ci aspetta, pronta a raccontarci la sua storia.

“Leonardo non si limitava a sognare il volo, cercava di capirlo. Ogni grande invenzione nasce prima da un’idea, poi dalla volontà di trasformarla in realtà.”

Omaggio a Leonardo (foto da leonardo.ai)

L’approdo a Lucca

Lucca, con nostra meraviglia, appare come un’isola incastonata tra i tetti rossi della Toscana, un gioiello sospeso nel tempo, protetto dal suo anello perfetto di mura cinquecentesche. La Lucca antica dall’alto, con la sua forma chiusa e compatta, si distingue da tutto il resto, come un mondo a sé.

“Guardala, sembra un’isola!” esclamo in cuffia mentre riduco la velocità per godermi la vista.

Veronika, immersa nella lettura della guida, annuisce. “Dice che queste mura sono tra le meglio conservate d’Italia. Un tempo servivano a difendere la città, oggi sono un parco dove la gente passeggia, corre e va in bicicletta.”

Osservo la cintura verde che abbraccia Lucca, perfetta nella sua geometria. “Un parco su una fortificazione… Leonardo avrebbe approvato.”

Quando siamo ormai prossimi al sorvolo, Veronika si ferma su un paragrafo e inclina leggermente la testa.

“Aspetta… qui dice che nel cuore della città c’è una piazza ovale, costruita esattamente sul perimetro di un antico anfiteatro romano. Ora è circondata da edifici che ne rispettano la forma.”

Chiude la guida e scruta la cittadina che ora scorre sotto di noi.

“Deve essere da qualche parte qui sotto…”

Riduco ancora la velocità, lasciandole il tempo di cercarla mentre eseguo una lunga virata sul centro cittadino. I vicoli si susseguono, le piazze si aprono e si chiudono tra i palazzi, fino a quando…

“Eccola!” esclama all’improvviso, puntando il dito con entusiasmo.

Sotto di noi un’ellisse perfetta si incastona nel tessuto urbano, come un’orma lasciata dal passato. I contorni dell’antico anfiteatro romano sono ancora lì, scolpiti nella città.

Piazza dell’Anfiteatro” dice, riconoscendola subito.

Osservo la sua forma e penso che un tempo riecheggiava delle voci della folla, degli spettacoli pubblici, delle celebrazioni, mentre oggi è un luogo di incontri e di vita.

Veronika osserva rapita la piazza che si apre sotto di noi.

“Deve essere bellissimo vederla da terra.”

Sorrido. “Lo sarà. Ti prometto che, una volta finita questa nostra avventura, ci torniamo insieme.”

Lei si volta verso di me con un sorriso che dice tutto.

“Ci conto.”

Dopo un paio di volteggi sulla città puntiamo il muso verso il fiume Serchio lasciando che ci guidi verso la prossima meta.

Veronika si appoggia allo schienale, soddisfatta.

“Vista così, l’Italia sembra ancora più bella.”

“Lucca è un’isola nel tempo, un luogo che ha saputo custodire la sua storia tra mura perfette e piazze che parlano del passato.”

Lucca che sembra un isola (foto da Flight Simulator 2024)

L’incanto di Pisa

Dopo un tratto di volo lineare e rilassante, che ci permette di imprimere nella mente ciò che abbiamo vissuto finora, all’orizzonte si accende Pisa. Le sue luci brillano come gemme nella notte, ma è la Piazza dei Miracoli a catturare i nostri sguardi. Avvolta nel suo alone dorato, emerge come un faro, distinta dal resto, perfettamente consapevole di essere il cuore di questa scena.

“Non è uno spettacolo?” chiedo indicando la piazza.

Veronika si sporge leggermente, la fotocamera già pronta. “Perfetta. Vederla così, dall’alto, la rende ancora più incredibile.”

“Abbiamo fatto bene a scegliere questo orario” aggiungo con un sorriso. “È il momento perfetto per ammirarla.”

Scivoliamo lentamente sopra la piazza, lasciandoci avvolgere dalla sua bellezza. La Torre Pendente, il Duomo di Pisa e il Battistero di San Giovanni brillano come sculture sospese nel tempo, le ombre si allungano sulle lastre di marmo, scolpendo i dettagli come un dipinto vivo. Sono lì da secoli, testimoni silenziosi di storie che ancora riecheggiano tra queste mura.

Per un attimo restiamo in silenzio, immersi nel panorama. Solo ora ci accorgiamo che qualcosa è insolito.

“Aspetta un attimo…” mormora Veronika, voltandosi verso il sedile posteriore. “Skippy è troppo silenziosa.”

Ci scambiamo un’occhiata. Fino ad ora non ce ne eravamo resi conto, rapiti dal paesaggio.

Mi giro e la trovo rannicchiata sul sedile, immersa in un sonno profondo. Il respiro lento, gli occhialoni scivolati sul muso, l’aria di chi ha combattuto eroicamente contro la stanchezza… e ha perso.

Veronika sorride con tenerezza, sfiorandole appena il pelo. “Si è addormentata senza che ce ne accorgessimo.”

Mi scappa una risata. “Credo che la giornata l’abbia messa KO.”

Skippy, che di solito osserva tutto con l’entusiasmo di un’esploratrice, stavolta si è lasciata cullare dal volo, dalla voce calma della radio, dal battito regolare dei pistoni dell’aereo. Forse, penso, è il modo in cui ci dimostra che si fida di noi, sapendo che qualunque sia la meta ci arriveremo insieme.

“Nessun problema” sussurra Veronika, “Vedrà tutto tra poco, anche se da terra.”

Torniamo a osservare la città, lasciando dormire beatamente la piccola esploratrice. La Torre Pendente si mostra in tutta la sua inclinazione impossibile, sfidando le leggi della fisica, eppure, contro ogni previsione, è rimasta in piedi per secoli diventando il simbolo di un’intera città.

“Sai che Galileo Galilei è nato qui?” dice Veronika, leggendo dalla guida.

“Non lo sapevi l’altra volta?” chiedo, imbarazzato e divertito.

“No!” risponde sorridendo. “È colpa tua che non mi dici le cose!” scherza colpendomi con un pugno leggero la spalla destra, poi aggiunge: “Dice che fece i suoi esperimenti proprio dalla Torre Pendente, facendo cadere oggetti per studiare la gravità.”

Mi fermo un istante a immaginare la scena: la piazza silenziosa, l’aria ferma del mattino, un uomo che lascia cadere due sfere dalla cima della Torre, sfidando le credenze di un’epoca intera.

“È strano pensare che da qui siano nate scoperte che hanno cambiato il mondo.” conclude.

“A Pisa la scienza ha sfidato la gravità e la storia ha lasciato un segno indelebile. Ogni pietra racconta una scoperta, ogni ombra conserva un’idea.”

Piazza dei Miracoli con la torre pendente (foto da Flight Simulator 2024)

Atterraggio

Appena le ruote toccano terra, dalla cabina si sente un lungo sbadiglio. Skippy si stiracchia come un gatto, gli occhialoni scivolano sul muso, poi ci guarda con lo sguardo di chi non ha ancora capito in che anno siamo.

Skippy solleva il musetto con aria confusa e spettinata, gli occhialoni scivolati di lato sulla testa. Ci guarda con uno sguardo stralunato, come se cercasse di capire dove si trova.

Veronika ride e le passa una mano sulla testa. “Sei sveglia, dormigliona? Tra poco vedremo la Torre Pendente.”

Skippy inclina la testa, sbattendo le palpebre come se la parola non avesse alcun senso per lei.

“Torre? Che torre?” sembra chiedere con lo sguardo.

Io e Veronika ci guardiamo per un attimo… poi scoppiamo a ridere.

Skippy sbatte le palpebre, confusa, poi lancia un lungo sospiro teatrale. Con una lentezza esasperata si sistema gli occhialoni, si stiracchia con la dignità di un’eroina stanca… e crolla di nuovo a dormire.

Fuori l’aria è fresca e Pisa si distende sotto un cielo trapunto di stelle. Il Cessna 172 riposa in piazzola, ma la città è ancora sveglia, pronta a regalarci un’ultima sorpresa.

“Ogni atterraggio segna la fine di una rotta ma l’inizio di una nuova avventura. E Pisa, sotto il cielo stellato, ci promette ancora una notte da ricordare.”

01 + Diario di Viaggio Firenze

Arrivo a Firenze

Il taxi ci lascia nel cuore di Firenze, dove le strade strette e lastricate sembrano intrecciarsi in un labirinto che porta i segni del tempo e delle trasformazioni. Qui edifici medievali e rinascimentali si mescolano con palazzi più moderni, ricostruiti dopo la guerra, alcuni perfettamente integrati nel tessuto urbano, altri più spigolosi, quasi fuori posto in questa città di arte e armonia. Nonostante tutto Firenze ha imparato a convivere con queste contraddizioni, custodendo la sua anima tra passato e presente.

“Ci siamo” dico, mentre Skippy allunga il muso verso l’aria frizzante del mattino, inspirando con curiosità. Con passo deciso ci incamminiamo verso il centro.

Sbucando da una stradina stretta la Cattedrale di Santa Maria del Fiore si staglia davanti a noi in tutta la sua imponenza.

“Incredibile come riesca sempre a sorprendermi” mormora Veronika, sollevando lo sguardo verso la Cupola del Brunelleschi che dall’alto ci aveva già lasciato senza fiato durante il volo.

Oggi decidiamo di salire sul Campanile di Giotto: meno affollato e con una vista altrettanto spettacolare. In fondo la cupola l’abbiamo già vista dall’alto poco fa.

In fila per i biglietti raccolgo un volantino e comincio a leggere ad alta voce per passare il tempo. “Sapevi che il Campanile è alto 85 metri? Dovremo fare 414 gradini per arrivare in cima e non c’è nessun ascensore.”

Skippy, inizialmente entusiasta di esplorare, si blocca sentendo queste parole. I suoi occhi seguono i gradini poi lancia un verso lamentoso, si gira lentamente e con un gesto plateale si infila di testa nel mio zaino, lasciando fuori solo le orecchie.

Veronika scoppia a ridere. “Sta succedendo davvero?”

“Direi di sì” rispondo, sentendo il peso improvviso sulle spalle. “Complimenti per la tattica, esploratrice provetta.”

Skippy emette un verso soddisfatto e si sistema meglio nel suo nuovo trono mobile, felice di aver avuto un colpo di genio.

La salita è un esercizio di resistenza, soprattutto con Skippy comodamente seduta nello zaino sulle mie spalle, ma ogni sosta offre uno scorcio sempre più spettacolare su Firenze. Quando finalmente raggiungiamo la sommità il vento ci accoglie con una carezza leggera. Da qui la vista ripaga lo sforzo con l’Arno che scorre tra i palazzi, le colline lontane che incorniciano il tutto e la città viva con la piazza sotto di noi piena di turisti.

Veronika si appoggia alla balaustra, il respiro ancora un po’ corto. “Che spettacolo.”

Skippy, che nel frattempo è uscita dallo zaino e ora si affaccia curiosa sulla mia spalla, sembra ipnotizzata dal panorama.

“Chissà come doveva apparire ai fiorentini di un tempo” aggiunge Veronika, lasciando vagare lo sguardo sulla città che si stende fino all’orizzonte.

Poi indica l’edificio ottagonale al centro della piazza con la sua elegante decorazione in marmo bianco e verde. “Posso chiederti cosa è quello?” chiede, osservandolo con curiosità.

“È il Battistero di San Giovanni” rispondo. “Uno degli edifici più antichi di Firenze, costruito tra l’XI e il XII secolo. La sua forma ottagonale simboleggia l’ottavo giorno, quello della resurrezione, secondo la tradizione cristiana.”

Veronika inclina la testa, interessata. “Quindi qui battezzavano tutti i fiorentini?”

“Esatto. Per secoli, prima che venisse costruito il fonte battesimale dentro la Cattedrale, i bambini fiorentini venivano battezzati proprio qui. Pensa che anche Dante Alighieri fu battezzato in questo battistero.”

Veronika sorride. “L’ultima volta avevo dimenticato di chiedertelo anche se dalla piazza mi aveva colpito per la sua bellezza.”

Sorrido e le indico le grandi porte di bronzo del battistero rivolte verso la Cattedrale. “E guarda quelle: le chiamano le ‘Porte del Paradiso’. Le ha realizzate Lorenzo Ghiberti nel Quattrocento e Michelangelo disse che erano così belle da poter essere le porte del paradiso.”

Veronika osserva i rilievi dorati con attenzione. “Quindi stiamo guardando un capolavoro dentro un altro capolavoro.”

“Già e questa è Firenze” le rispondo con un sorriso.

“Firenze è una città che sorprende sempre: un equilibrio perfetto tra passato e presente, dove ogni strada, ogni piazza e ogni monumento raccontano una storia senza tempo.”

il Campanile di Giotto (foto da google heart)

Un pranzo con una storia da raccontare

Dopo la lunga discesa dal Campanile di Giotto le gambe iniziano a protestare. La sveglia all’alba e il viaggio ci hanno messo fame e, anche se è ancora presto, l’idea di un pasto tipico fiorentino diventa irresistibile.

Attraversiamo Piazza della Signoria che si apre davanti a noi come un grande palcoscenico di storia e arte. La Loggia dei Lanzi, con le sue statue imponenti, osserva silenziosa il via vai dei turisti mentre il maestoso Palazzo Vecchio, con la sua torre, si erge fiero e imponente. A pochi passi la copia del David di Michelangelo domina la scena, ricordando a tutti il legame indissolubile tra Firenze e il Rinascimento.

Evitiamo i locali turistici e ci infiliamo in una piccola trattoria nascosta in un vicolo laterale, lontano dalla folla. L’aria è densa del profumo di schiacciata fiorentina appena sfornata e spezie, i pochi tavoli in legno scuro raccontano di un luogo rimasto immutato nel tempo.

Ci accoglie una signora anziana con i capelli raccolti in uno chignon impeccabile e un grembiule consumato dall’uso. Il suo volto porta i segni del tempo ma il sorriso che ci rivolge è di chi ha visto Firenze cambiare mille volte senza mai perdere la sua essenza.

“Siete forestieri, vero?” chiede con un tono bonario mentre ci porge un menù scritto a mano.

“Sì, anche se un po’ ci sentiamo a casa” rispondo, scorrendo le proposte del giorno. “Non è la prima volta che veniamo a Firenze.”

Veronika posa il menù con decisione. “Vorremmo provare qualcosa di veramente fiorentino.”

La donna sorride con un lampo d’orgoglio negli occhi. “Allora vi porto dell’ottimo lampredotto.”

Quando ritorna porta con sé una piccola pentola di terracotta, un “coccio” tradizionale, da cui si sprigiona un aroma intenso e speziato. Appoggia la pentola al centro del tavolo e, con un gesto misurato, solleva il coperchio. Il vapore caldo si mescola all’aria, avvolgendoci in un profumo che sa di antiche osterie e di storia.

Si ferma accanto al tavolo, aspettando di vedere la nostra reazione al primo assaggio. Veronika prende un boccone, chiude gli occhi e annuisce lentamente.

“Ma è buonissimo” esclama con un sorriso sorpreso. “Ha un sapore così intenso ma allo stesso tempo delicato.”

La donna sorride, compiaciuta. “Sai, quando ero bambina, il lampredotto era il pasto dei lavoratori. Mio padre faceva il ciabattino e ogni sabato mi portava qui a mangiarlo, seduti proprio a questo tavolo.”

Le sue parole ci trasportano in un’altra epoca. La immaginiamo, bambina, seduta accanto a suo padre con un panino tra le mani e gli occhi curiosi rivolti al mondo. Mi soffermo a pensare che un viaggio non è fatto di sole opere d’arte o viste mozzafiato ma anche di storie, di gesti tramandati, di sapori che resistono al tempo. Così le chiedo di raccontarci di più.

La signora si siede accanto a noi, prendendosi un momento di pausa. “Un tempo il lampredotto era il cibo del popolo. Chi lavorava tutto il giorno nei mercati, nelle botteghe, non poteva permettersi i tagli nobili della carne. Così si usava tutto. Con il tempo quella che era una necessità è diventata una tradizione, un sapore che sa di casa.”

Quando ci alziamo per andare via, Assunta ci osserva con un sorriso appena accennato, come se sapesse di averci lasciato qualcosa di più di un semplice pasto.

“E ricordate che Firenze non si racconta, si assapora.”

Fa una piccola pausa, come se volesse assaporare anche lei quelle parole prima di concludere. Poi aggiunge con voce più bassa, quasi confidenziale:

“È come il lampredotto: all’apparenza semplice ma se lo vivi davvero scopri sapori che non ti aspettavi.”

Usciamo dalla trattoria con la sensazione di aver assaporato non solo un piatto tipico ma anche un pezzetto della Firenze più autentica.

Mentre ci incamminiamo per le strade del centro Veronika si accorge che Skippy sembra avere qualcosa tra le mani. Si avvicina con curiosità e, con un sorriso, chiede: «Che cosa hai lì, piccola esploratrice?» Skippy, con uno sguardo solenne, solleva tra le zampe un tappo di sughero come se stesse presentando un trofeo conquistato con grande onore.

«È il tappo della bottiglia di vino che abbiamo bevuto a pranzo?». Skippy, con un lieve movimento del muso, solleva il tappo con aria di vittoria, come se stesse dicendo “esattamente!”

Veronika sorride, complice del suo gesto. «Ah, quindi questo è il tuo souvenir di Firenze?» le dice con affetto. «Che idea fantastica, Skippy!» Poi, con un sorriso malizioso, aggiunge: «Mettilo nello zaino con gli altri souvenir che raccoglierai durante il nostro viaggio.»

Io intervengo, ridendo: «Ottima idea, Skippy! Questo è sicuramente un ricordo speciale.»

Skippy, con la massima delicatezza, adagia il tappo nello zaino e torna a trotterellare allegra tra le strade di Firenze. Passeggiando mano nella mano con Veronika sento che ogni passo, ogni piccolo gesto, sta contribuendo a rendere questo viaggio ancora più unico.

“Firenze non si racconta, si assapora. Ogni piatto, ogni sapore è una storia che resiste al tempo.”

la singora Assunta con il suo lampredotto (foto leonardo.ai)

Il Ponte Vecchio: Storia sospesa sull’Arno

Seguendo il flusso incessante di turisti e fiorentini che affollano le strade del centro arriviamo al Ponte Vecchio.

Man mano il vociare si fa più intenso, il suono dei passi si mescola a quello dei musicisti di strada che animano il Lungarno con le loro melodie. L’atmosfera ha qualcosa di magico: le botteghe storiche, colme di gioielli e oggetti scintillanti, sembrano sospese tra cielo e acqua affacciandosi direttamente sul fiume.

“Non sembra nemmeno un ponte” dice Veronika, guardandosi intorno con meraviglia.

“Effettivamente sembra più una strada” rispondo, osservando le vetrine ornate d’oro e pietre preziose.

Poco più avanti una guida turistica sta spiegando la storia del ponte a un gruppo di visitatori. Non posso evitare di ascoltare.

“Pare che nel Medioevo qui ci fossero macellerie” dico sottovoce a Veronika, indicando le strutture basse delle botteghe. “Però i macellai gettavano gli scarti direttamente nell’Arno finché Ferdinando I de’ Medici non decise di sostituirli con orafi e gioiellieri.”

“Macellerie? Su un ponte come questo?” sgrana gli occhi.

“Già, voleva migliorare l’immagine del ponte e risolvere il problema degli odori… diciamo poco piacevoli” aggiungo con un sorriso.

Veronika sorride al pensiero mentre continuiamo a camminare tra i negozi che, nonostante i secoli, sembrano ancora mantenere un fascino senza tempo.

Poi, alzando lo sguardo, Veronika nota una struttura che sovrasta le botteghe. “E quello? Cos’è quella specie di corridoio?”

“Credo sia il Corridoio Vasariano” rispondo, frugando nella tasca per estrarre una brochure che avevo recuperato mentre facevamo i biglietti al campanile. “Dice che fu costruito nel 1565 per volere di Cosimo I de’ Medici. Permetteva ai granduchi di spostarsi da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti senza doversi mescolare alla folla.”

Veronika segue con lo sguardo il passaggio sopraelevato che corre lungo il ponte come un sentiero segreto della nobiltà.

“Dovevano proprio fidarsi poco della gente” commenta con una punta di ironia.

“Beh, ai tempi governare Firenze non era esattamente un compito facile” dico “Credo fosse meglio avere un passaggio sicuro che rischiare imboscate tra la folla.”

Ci fermiamo al centro del ponte dove un piccolo spazio aperto regala una vista mozzafiato sull’Arno. L’acqua riflette la luce dorata della giornata mentre il mormorio della città si mescola al suono del fiume che scorre placido.

Veronika si appoggia alla balaustra e sospira. “Chissà quanti mercanti, artisti e viaggiatori hanno attraversato questo ponte nei secoli.”

Un piccolo pannello informativo accanto a una bottega attira la mia attenzione. “Guarda qui Vero. Dice che questo ponte ha visto di tutto: alluvioni, guerre e persino un re che vi rimase bloccato. Durante l’alluvione del 1966 l’Arno sommerse le botteghe, distruggendo gioielli e libri contabili. E pare che nel 1495 il re di Francia Carlo VIII rimase incastrato con il suo cavallo tra i negozi troppo stretti. Dopo quell’episodio iniziarono a regolamentare meglio lo spazio qui sopra.”

Veronika scorre con lo sguardo il pannello. “Quindi non è sempre stato così ordinato?”

“Evidentemente Firenze ha dovuto trovare il suo equilibrio, proprio come questo ponte.”

Restiamo qualche minuto in silenzio, lasciando che la storia del ponte si intrecci ai suoni della città e al fluire dell’Arno sotto di noi.

“Il Ponte Vecchio è più di un ponte: è una passerella sospesa nella storia, dove ogni passo racconta un secolo di vita fiorentina.”

vista del Ponte Vecchio dal Lungarno (foto da google heart)

Palazzo Pitti e i Giardini di Boboli: il potere e la bellezza

Attraversato il Ponte Vecchio ci ritroviamo di fronte alla massiccia facciata di Palazzo Pitti. Le pietre grezze, squadrate e possenti trasmettono un senso di imponenza quasi schiacciante. È un contrasto netto con l’eleganza dei palazzi rinascimentali del centro e, per un attimo, rimaniamo in silenzio osservandolo.

“Non me lo ricordavo così… massiccio” commenta Veronika, inclinandosi leggermente all’indietro per coglierne l’altezza.

“Già, sembra quasi fuori posto rispetto al resto della città” rispondo, scorrendo lo sguardo lungo la facciata severa. “Eppure è stato costruito proprio per essere il simbolo della grandezza di una famiglia.”

Facciamo il biglietto e ci uniamo a un gruppo di turisti radunati attorno a una guida locale, una donna dai capelli ricci che parla con il tono appassionato di chi racconta una storia mille volte senza perdere entusiasmo.

Palazzo Pitti fu costruito a metà del Quattrocento per volere di Luca Pitti, un banchiere fiorentino che voleva superare per grandezza e maestosità il Palazzo Medici Riccardi, la residenza dei suoi rivali.”

Veronika solleva un sopracciglio. “Quindi era una questione di ego?”

La guida annuisce con un sorriso. “Assolutamente. Pitti voleva finestre grandi quanto le porte di Palazzo Medici e una facciata imponente per dimostrare il suo potere. Ma ironia della sorte, pochi decenni dopo, la famiglia Pitti cadde in disgrazia e chi comprò il palazzo?”

“I Medici” risponde un uomo del gruppo prima ancora che qualcuno possa rifletterci.

“Quindi alla fine hanno vinto loro.” commento divertito.

“Come sempre” aggiunge la guida con un sorriso. “Lo trasformarono nella loro residenza ufficiale e da qui governarono Firenze e la Toscana.”

Veronika osserva le finestre alte e strette. “Chissà com’era viverci…”

“Probabilmente lussuoso e caotico” risponde la guida aggiungendo subito dopo: “Pensiamo solo a quanti artisti e scienziati hanno frequentato queste stanze. Qui hanno vissuto Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e poi i Lorena, persino i Savoia quando Firenze era capitale d’Italia. Dentro il palazzo oggi si possono visitare gli Appartamenti Reali, la Galleria Palatina con opere di Raffaello e Tiziano, la Galleria d’Arte Moderna e persino una farmacia storica.”

“Una farmacia?” ripete una turista incuriosita.

“Esatto” conferma la guida. “Una spezieria di corte per l’esattezza, dove venivano preparati rimedi e unguenti per la famiglia ducale.”

Mentre la guida prosegue, Skippy si arrampica con agilità sulla spalla della donna, afferrando con le zampette la piccola bandierina che la guida teneva in mano per farsi seguire dal gruppo. Per un attimo tutti restiamo in silenzio, io e Veronika imbarazzati, poi una risata collettiva esplode tra i turisti.

“Ehi, ma sei proprio un’assistente perfetta!” esclama la guida, accarezzandole la testa. “Direi che abbiamo trovato la nostra mascotte ufficiale!”

Skippy, fiera della sua performance, solleva la testa e batte una zampa sul petto. Poi, con un’aria teatrale, saluta il gruppo con un piccolo gesto della zampa mentre i turisti scattano foto ridendo.

“Attenta” ridacchia Veronika. “Se si affeziona potrebbe voler restare qui.”

Skippy batte le zampette sulla spalla della guida, poi si sistema meglio, come se il posto le piacesse davvero.

Ci addentriamo nel cortile interno circondato da colonne imponenti che sembrano stringersi attorno a noi. L’ombra fresca e la pietra antica creano un’atmosfera solenne, come se il tempo qui scorresse più lentamente.

Poi un arco si apre su un vialetto alberato e davanti a noi si dispiega l’immenso Giardino di Boboli.

“Palazzo Pitti è la prova che il potere può cambiare mano ma la grandezza resta. Ogni pietra racconta di ambizioni, cadute e rinascite, in un continuo intreccio di storia e arte.”

Palazzo Pitti e la sua piazza antistante (foto da google heart)

Tra natura e potere: il Giardino di Boboli

Appena varcato il cancello monumentale ci ritroviamo immersi in un labirinto di viali ordinati, siepi geometriche e statue di marmo.

“Wow” esclama Veronika. “È immenso.”

“Questo è il primo giardino all’italiana della storia” spiega la guida mentre ci incamminiamo lungo un viale alberato. “Fu realizzato nel Cinquecento per Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici. Era uno spazio privato ma anche un modo per dimostrare il potere della famiglia.”

“Ogni cosa qui sembra studiata per impressionare” commenta una turista osservando la precisione geometrica del paesaggio.

La guida annuisce. “Esattamente. Qui tutto ha un significato politico. Il potere dei Medici si rifletteva nella simmetria perfetta del giardino.”

Skippy, ancora in spalla alla guida, si sporge per osservare una statua vicino alla Fontana dell’Oceano.

“Quella fontana rappresenta il dominio sulle acque. Nettuno al centro indica che Firenze, pur non essendo sul mare, aveva un controllo strategico sui commerci marittimi.”

Veronika, osservando le figure intorno, mi sussurra. “Queste statue sembrano vive, ferme solo per un momento.”

Più avanti la guida si ferma davanti a un ingresso scolpito nella pietra, ricoperto di stalattiti finte e decorazioni surreali.

“Benvenuti alla Grotta del Buontalenti.”

Varcato l’ingresso ci troviamo in un ambiente che sembra uscito da un sogno. Le pareti, ricoperte di figure scolpite, sembrano sciogliersi nella roccia mentre affreschi e statue emergono come visioni oniriche.

“Non è una grotta naturale” spiega la guida. “Fu costruita per stupire gli ospiti della corte. Ogni dettaglio è stato studiato per creare un’illusione, come se l’arte stesse prendendo vita dalla pietra.”

Skippy, affascinata, inclina la testa e imita la posa di una delle statue, facendo ridere tutto il gruppo.

Proseguendo lungo i sentieri arriviamo ad una terrazza panoramica da cui si può ammirare tutta Firenze.

“Che vista…” mormora Veronika, scattando una foto.

La guida continua con entusiasmo. “Pensate che questo giardino non serviva solo a passeggiare. Qui si svolgevano spettacoli teatrali, feste e persino tornei.”

Mi appoggio alla balaustra osservando Firenze stendersi sotto di noi. “Ecco perché i Medici lo volevano perfetto. Non era solo un giardino, era una dichiarazione di potere.”

Skippy salta giù dal suo posto privilegiato dal quale ha osservato comodamente il paesaggio, si gira verso la guida e le porge la bandierina con un gesto solenne. Poi si volta verso il gruppo e, con un piccolo inchino, si mette una zampetta sul petto come una perfetta aiutante da tour.

Un applauso spontaneo scoppia tra i turisti e la guida ride divertita.

Il sole inizia a calare e sappiamo che è il momento di proseguire. Salutiamo la guida e lasciamo i Giardini di Boboli alle nostre spalle, con la sensazione di aver attraversato secoli di storia e bellezza.

Mentre ci allontaniamo, Skippy si gira un’ultima volta verso il gruppo, alza la zampetta in un piccolo saluto e si gode gli ultimi applausi. Poi, con la dignità di una star, si sistema gli occhialoni e ci segue con passo fiero.

“Il Giardino di Boboli non è solo natura: è potere, arte e teatro all’aperto, un’eredità eterna della Firenze rinascimentale.”

Palazzo Pitti dai Giradini (foto da google heart)

Il Piazzale Michelangelo e l’ultima lezione di Firenze

Lasciati i Giardini di Boboli e usciti da Palazzo Pitti troviamo una carrozza ferma sul ciglio del marciapiede. Il cavallo, un esemplare dal manto scuro e lucido, attende paziente mentre sul sedile di guida siede un uomo dall’aria serena e il cappello a tesa larga calcato sugli occhi.

“Vi porto al Piazzale Michelangelo, signori?” chiede con un accento toscano che profuma di storie vissute.

Ci riflettiamo un attimo, pensando che sarebbe un modo alternativo di spostarsi tra le vie di Firenze, poi saliamo a bordo. Il ritmo cadenzato degli zoccoli sul selciato si mescola al brusio della città mentre ci lasciamo alle spalle il centro storico.

“Quanti turisti vedo passare ogni giorno” riflette il cocchiere mentre guida con gesti sicuri. “Tutti corrono per vedere Firenze ma pochi si fermano davvero a guardarla.”

Il suo tono non è di rimprovero ma di chi ha visto il tempo scorrere su questa città come un fiume, con i suoi cicli di bellezza e distruzione.

“Lei è di Firenze da sempre?” chiede Veronika, incuriosita.

“Da sempre e per sempre” risponde con un sorriso appena accennato. “Mi chiamo Gino e questo è il mio modo di vedere la città: un passo alla volta, con il ritmo di chi non ha fretta.”

Attraversiamo quartieri meno turistici dove le facciate dei palazzi alternano nobiltà e decadenza, la voce di Gino diventa il nostro filo conduttore con la storia di Firenze.

“Questa città l’hanno costruita gli artisti e i mercanti” dice, indicando con un cenno le strade che si aprono su piazzette più intime. “La bellezza non è mai stata fine a se stessa, aveva sempre uno scopo: stupire, governare, ricordare. Pensate a chi ha calcato queste strade… Dante, Michelangelo, Galileo.”

Ci racconta di come il Piazzale Michelangelo sia stato progettato nel 1869 dall’architetto Giuseppe Poggi durante i lavori di rinnovamento della città.

“Doveva essere una celebrazione del genio di Michelangelo” continua, rallentando per indicarci le prime scalinate che conducono alla terrazza panoramica. “Un museo a cielo aperto dedicato a lui… ma il museo non lo costruirono mai. Rimase solo la grande copia del David in bronzo e qualche altra scultura.”

Arriviamo al Piazzale e il tempo sembra dilatarsi. Firenze, da qui, appare in tutto il suo splendore.

“Non è come vederla dall’alto del Campanile di Giotto” dico, appoggiandomi al parapetto. “Qui sembra quasi di farne parte.”

Veronika annuisce. “È come un quadro che cambia ogni minuto.”

Gino sorride, sistemandosi il cappello. “Eppure Firenze è sempre la stessa. Siete voi a cambiare, ogni volta la guardate con occhi diversi. E forse, la prossima volta, non sarà la città a sorprendervi… ma voi stessi.”

Le sue parole ci colpiscono, c’è qualcosa di vero in quel pensiero, qualcosa che ci accompagna mentre scendiamo dal Piazzale e torniamo verso l’Aeroporto di Peretola. Il taxi scorre silenzioso lungo le strade. Firenze si allontana ma questa volta ce la portiamo dietro in un modo nuovo. Gli incontri fatti ci hanno lasciato qualcosa in più e sappiamo che, anche questa volta, il ricordo di questa città resterà con noi, non solo negli occhi ma nel cuore.

“Firenze cambia con chi la guarda: ogni ritorno è un nuovo viaggio, un nuovo sguardo su una città senza tempo.”

01 – Volo Bologna Firenze

Decollo da Ozzano

Siamo sulla pista dell’aviosuperficie di Ozzano, un piccolo aeroporto a pochi chilometri da Bologna, nel cuore dell’Italia settentrionale. L’aria del mattino è fresca e carica di promesse. Il sole illumina il Cessna 172, il suo profilo bianco e blu brilla come un invito al viaggio. Dentro di me, però, l’inquietudine del primo volo non mi abbandona: checklist, carburante, strumenti… tutto sembra in ordine, eppure controllo ancora una volta. È la nostra prima vera tappa, il primo momento in cui questo viaggio diventa realtà, non solo un’idea.

Veronika è sul lato sinistro dell’aereo, vicino al portello di carico, intenta a sistemare le borse con la sua solita precisione. Io sono appena fuori dal velivolo, eseguendo gli ultimi controlli pre-volo mentre Skippy, impaziente, è già nella cabina di pilotaggio.

In piedi sul sedile del copilota, le cuffie troppo grandi per lei, osserva il pannello strumenti con lo sguardo concentrato di chi si sente parte dell’equipaggio. Da giorni ha assorbito ogni informazione possibile sui voli e su questo specifico velivolo. Ora si muove con sicurezza tra i comandi, annuendo come se sapesse esattamente cosa fare.

Mi punta una zampetta contro, poi indica il serbatoio carburante con fare interrogativo.

“Controllato e confermato, Skippy!” rispondo con un sorriso.

Lei sembra soddisfatta della risposta e torna con lo sguardo fisso sul cruscotto. Poi, con grande serietà, alza una zampa e la punta verso uno dei pulsanti del Garmin 1000.

“No, no, no… quello no!” esclamo ma è troppo tardi.

Click.

Un istante dopo la cabina viene invasa da un suono acuto e penetrante. Il computer di bordo ha attivato un allarme di avviso, impostato al massimo volume, trasformando il silenzio mattutino in una sirena assordante.

Veronika sobbalza e si copre le orecchie con un gesto istintivo. Dall’esterno della cabina faccio segno di spegnerlo.

Skippy, colta di sorpresa, agita le zampe nel tentativo di rimediare ma, nel panico, preme un altro pulsante facendo apparire a schermo una schermata di diagnostica incomprensibile.

Scoppiamo tutti a ridere, Skippy compresa. Poi, con un finto broncio, si lascia cadere sulla poltrona da copilota e si volta di lato incrociando le braccia in un gesto teatrale.

“Grazie Skippy, il tuo contributo alla sicurezza del volo è inestimabile!” esclamo con un sorriso mentre ripristino la configurazione originale dell’aereo e disattivo l’allarme.

Con questo allegro siparietto la tensione si è sciolta del tutto. La sua spontaneità e il suo entusiasmo hanno involontariamente spezzato le nostre paure.

Ultimati i controlli e i preparativi saliamo, finalmente, tutti a bordo. Avvio il motore. Do un’ultima occhiata agli strumenti e spingo in avanti la leva del gas. Il motore ruggisce con una potenza che risuona nel petto. Acceleriamo veloci sulla pista, poi il momento magico: il carrello si stacca da terra. Per un istante sembra che il tempo si fermi. Siamo sospesi tra terra e cielo.

Allungo una mano verso Veronika che la stringe forte. Nei suoi occhi vedo la stessa emozione che sento dentro di me. È il nostro primo volo insieme, un momento che non dimenticheremo mai.

All’orizzonte Bologna si svela lentamente. I tetti rossi si mescolano al verde delle colline.

“È come aprire il primo capitolo di un libro ancora tutto da scrivere.”

Veronika pronta al primo decollo (foto da Flight Simulator 2024)

Oltre le torri: Bologna vista dal cielo

Sorvoliamo Bologna, una città che conosciamo a memoria ma che dall’alto sembra quasi nuova. Le strade, i palazzi, i vicoli stretti si trasformano in un intreccio perfetto, un mosaico di storia e modernità che da quassù assume contorni diversi.

Veronika indica la torre sottile che svetta nel cuore della città. “La Torre degli Asinelli!” esclama.

Skippy ci osserva con attenzione e mi viene spontaneo raccontarle. “Sai Skippy, nel XII secolo Bologna aveva più di cento torri. Ogni famiglia nobile costruiva la propria per mostrare il suo potere. Ora ne restano poche ma ognuna ha una storia unica. Quella indicata da Veronika è la più alta delle Due Torri simbolo della città. La Garisenda, più bassa e più inclinata, è ancora nascosta da questa angolazione.”

“L’anno scorso avevamo scoperto, con quella guida mentre salivamo sulla Torre degli Asinelli, che molte sono crollate o sono state demolite.” aggiunge ricordando Veronika.

“Sì, la Torre degli Asinelli però ha resistito. È stata prigione, magazzino e addirittura osservatorio. E la Garisenda? Persino Dante l’ha citata nella ‘Divina Commedia’.”

Skippy, avvistata la Garisenda, con una buffa teatralità si inclina di lato imitandone la pendenza e strappandoci una risata.

Una leggera virata ci porta a sorvolare ora Piazza Maggiore. “Là c’è la Basilica di San Petronio” mormoro, lasciando che lo sguardo si posi sulla sua imponente struttura mentre mantengo l’assetto. “Peccato abbiano fermato i lavori… Papa Pio IV bloccò tutto nel 1560 per paura che oscurasse la grandezza di San Pietro a Roma. Chissà quanto sarebbe stata straordinaria se l’avessero completata.”

Mi lascio avvolgere dal silenzio mentre la sua bellezza incompiuta racconta una storia di ambizione e sfide mai concluse. Poi aggiungo con un sorriso:

“Skippy ti racconto anche questa curiosità. All’interno della Basilica c’è una meridiana straordinaria. Un piccolo foro nella volta, a circa 27 metri d’altezza, lascia entrare un raggio di sole che, a mezzogiorno, proietta un punto luminoso sul pavimento. Questo punto, nei vari giorni dell’anno, si sposta lungo una linea di bronzo incastonata nel pavimento, indicando l’ora solare locale e permettendo di determinare anche la data. Con i suoi 67 metri è una delle meridiane più lunghe del mondo.”

Skippy sembra affascinata mentre osserva la città che continua a scorrere sotto di noi.

Piazza Maggiore con la Basilica di San Petronio (foto da Flight Simulator 2024)

La lunga virata ci ha portato ora sopra un’altra piazza. “Guarda, Vero: Piazza Santo Stefano” dico con un sorriso. “Per me resta sempre la piazza più bella di Bologna, quella dove ho maggiori ricordi.”

“Quella con le Sette Chiese?” chiede lei, incantata dal suo disegno unico visibile dall’alto.

“Proprio così” rispondo, indicando la geometria delle strutture che si intersecano. “È uno dei luoghi più affascinanti della città. Da terra è raccolta, quasi nascosta tra i palazzi, ma dall’alto si apre in tutta la sua armonia, come se fosse stata progettata per essere ammirata da qui.”

“Non sono davvero sette le chiese, giusto?” domanda Veronika, osservando il complesso.

“Esatto. Oggi sono quattro chiese collegate tra loro ma un tempo erano di più. Hanno attraversato secoli di trasformazioni eppure il fascino di questa piazza è rimasto intatto.”

Ci troviamo ad effettuare un ultimo passaggio sopra le Due Torri, lasciando che il cuore di Bologna si fissi nella nostra memoria. Da quassù tutto sembra diverso, quasi immobile, ma sappiamo che sotto di noi la città continua a vivere, a raccontare storie.

Scambio uno sguardo con Veronika e so che stiamo pensando la stessa cosa: ogni volo ci cambierà in modi che ancora non possiamo immaginare. Poi dirigo il Cessna verso il nostro prossimo obiettivo: il Santuario di San Luca.

“Bologna vista dall’alto è un intreccio di storia e modernità, dove le torri medievali incontrano le piazze rinascimentali, raccontando il passato di una città unica.”

Piazza Santo Stefano vista dall’alto (Foto da Flight Simulator 2024)

Il Santuario di San Luca e la metafora del viaggio

I Colli Bolognesi si avvicinano. Tra i profili morbidi delle colline si scorge subito la sagoma familiare del Santuario di San Luca, posato sulla cima come a vigilare sempre su Bologna e i suoi abitanti.

Veronika si sporge leggermente verso il finestrino. “Non importa quante volte lo veda, mi emoziona sempre” mormora.

Indicando il lungo serpente di arcate che si snoda fino alla sommità del colle, le chiedo: “Hai mai notato che sono 666 arcate? È il portico più lungo del mondo.”

Veronika alza un sopracciglio, incuriosita. “666? Non lo sapevo. È un numero un po’ strano per un’opera religiosa, non trovi?”

Accenno una risata. “Lo è. Alcuni dicono che il numero rappresenti il serpente, simbolo del male, mentre il portico simboleggia la sua sconfitta, con ogni arcata come un passo verso la protezione della Madonna di San Luca.”

“Interessante, non me lo avevi mai detto” commenta Veronika. “Beh, devo dire che hanno scelto un bel modo per trasmettere il messaggio.”

“Da quassù sembra quasi piccolo” osserva Veronika. “Eppure, quando sei lì sotto, ogni metro pesa sulle gambe. È la perfetta metafora del viaggio: da lontano tutto sembra semplice ma quando sei nel mezzo del cammino l’unica scelta è continuare a salire. E poi, quando finalmente arrivi in cima, capisci che ogni passo ne è valso la pena.”

Volteggiamo ancora un paio di volte sopra il Santuario, ammirandolo da questa prospettiva inedita. Poi, mentre ci allontaniamo, lascio che l’immagine del portico si imprima nella mente: una lunga salita che conduce a qualcosa di più grande.

“Il portico di San Luca è la perfetta metafora del viaggio: un percorso lungo e faticoso ma con una vista che ripaga ogni sforzo.”

San Luca vista dall’alto (foto da Flight Simulator 2024)

Attraversando gli Appennini: tra memoria e silenzi

Lasciato alle spalle il Colle della Guardia, che ospita il Santuario di San Luca, ci addentriamo nel cuore degli Appennini Tosco-Emiliani.

“È incredibile quanto cambi il paesaggio in così pochi chilometri” osserva Veronika, seguendo con lo sguardo le creste montuose.

“Questi monti non sono solo belli” dico, lasciando che lo sguardo scivoli sulle vallate sotto di noi. “Qui passava la Linea Gotica.”

Veronika mi lancia un’occhiata curiosa. “Linea Gotica?”

“Una barriera difensiva costruita dai tedeschi per fermare l’avanzata degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale. Prima di conoscerti ho esplorato questa zona con un gruppo. C’erano ancora bunker e trincee scavate nella roccia. La guida raccontò storie di uomini in fuga, di resistenza e disperazione.”

Le mie parole restano sospese nell’aria. Veronika guarda il paesaggio con occhi diversi mentre continuo, quasi parlando a me stesso. “Fa impressione pensare che questi sentieri, oggi così quieti, abbiano conosciuto il terrore. Qui riecheggiavano spari, ordini gridati, passi spezzati dalla paura. Dopo la guerra si diceva ‘mai più’ eppure continuiamo a riempire il mondo di confini tracciati col fuoco. Popoli fratelli si combattono, la storia si ripete, e noi? Abbiamo davvero imparato qualcosa o stiamo solo dimenticando più in fretta?”

Dietro di noi, Skippy abbassa le orecchie, come se quelle parole fossero troppo pesanti da portare. Veronika le sfiora appena, un gesto silenzioso di conforto.

Il motore ronza lieve, unico suono in questa distesa di memorie taciute. Sorvoliamo queste montagne e lasciamo che parlino loro. Non serve altro.

“Sorvolare gli Appennini significa anche attraversare la storia: ogni valle custodisce memoria e sacrificio, tra il silenzio della natura e le cicatrici del passato.”

Il lago di Bilancino in lontananza (foto da Flight Simulator 2024)

Mugello e Scarperia: velocità, tradizioni e ricordi

Arriviamo alle colline del Mugello quando, oltre una cresta, si rivela un’ampia distesa d’acqua che scintilla sotto il sole del mattino. “Guarda lì Skippy” dico, indicandola con un cenno. “Quello è il Lago di Bilancino.”

“Non l’avevo mai visto da questa prospettiva!” commenta Veronika, con leggero stupore. “È davvero grande!”

Skippy fissa l’acqua scintillante e mi viene da raccontarle una curiosità: “Sai Skippy, questo lago non è solo bello: è stato costruito negli anni ’90 per proteggere Firenze dalle alluvioni dell’Arno e per garantire l’acqua alla zona. Oggi, però, è anche un luogo di relax. Ci si può fare windsurf, canoa e in estate diventa una meta turistica molto amata offrendo una spiaggia attrezzata a pochi passi dalla città. Anche noi ci siamo venuti spesso con moto e tenda.”

Skippy si illumina per un istante, poi si accascia con una smorfia esagerata, come se solo l’idea di pagaiare fosse una fatica immensa.

Sorvolata l’ultima vetta appare un lungo serpente d’asfalto, perfettamente incastonato nel paesaggio. “Guarda lì” dico, indicando il Circuito del Mugello. “Uno dei tracciati più spettacolari al mondo.”

Veronika con tono scherzoso commenta: “Sembra una pista giocattolo, non ti pare?”

“E invece è il sogno di ogni pilota” rispondo. “Se non sbaglio è di proprietà della Ferrari, qui si svolgono gare importantissime dalla MotoGP ai test di Formula 1.”

Sorvoliamo il circuito e in un attimo siamo sopra Scarperia, un borgo medievale dominato da un edificio imponente.

“Quello è il Palazzo dei Vicari” spiego a Skippy. “Un gioiello del XIV secolo, il simbolo di Scarperia.”

Veronika si sporge per ammirarlo. “E poi ci sono i coltelli, giusto? Mi ricordo la nostra visita a quell’officina artigianale. Ogni pezzo era un’opera d’arte.”

“Proprio così” confermo. “Scarperia è rinomata in tutto il mondo per la produzione di coltelli artigianali. Una tradizione che risale al 1400 e che continua ancora oggi.”

Poco dopo siamo a ridosso del Lago di Bilancino, che continua a risplendere sotto il sole. L’acqua calma riflette il cielo e per un momento lasciamo che il silenzio parli.

“Il Circuito del Mugello racconta storie velocità, coraggio e follia”

Lago di Bilancino (foto da Flight Simulator 2024)

Fiesole: la madre di Firenze

Stiamo sorvolando ora le colline che conducono a Fiesole lasciandoci alle spalle il Lago di Bilancino. L’aria è calma e persino Skippy, di solito irrequieta, osserva tutto con la sua curiosità attenta, seguendo con lo sguardo i dolci rilievi che si susseguono sotto di noi.

“Ci stiamo avvicinando?” chiede Veronika, sporgendosi leggermente verso il finestrino in cerca di qualcosa.

Fiesole? Dovrebbe essere laggiù da qualche parte” rispondo, indicando un punto tra le colline. “Ma, a essere sincero, non so molto su Fiesole oltre al fatto che dovrebbe essere più antica di Firenze.”

Veronika annuisce e si allunga verso il sedile posteriore afferrando la piccola guida della Toscana che abbiamo portato con noi. La sfoglia rapidamente, cercando con le dita la pagina giusta.

Fiesole… aspetta un attimo… eccola!” esclama finalmente con un sorriso soddisfatto. “Dice che è una delle città più antiche della Toscana, fondata dagli Etruschi molto prima di Firenze. Poi è diventata importante sotto i Romani che ci hanno costruito un teatro, mura e templi.”

“E quindi possiamo dire che senza Fiesole, probabilmente, non ci sarebbe stata Firenze” commento mentre il borgo inizia a delinearsi davanti a noi.

“Esatto!” conferma Veronika. “Infatti sembra che per un periodo Firenze fosse addirittura sotto il controllo di Fiesole, finché non l’ha superata in importanza. E guarda qua: dice che c’è un Teatro Romano ancora ben conservato!”

Skippy, con l’entusiasmo di chi ha appena risolto un enigma, spalanca gli occhi, sbatte una zampetta contro il finestrino e indica freneticamente qualcosa in basso, come a dire: Eccolo, eccolo! Guardate lì!

Ridiamo entrambi. “Credo che abbia trovato il Teatro prima di noi” dico scherzando.

Sorvoliamo il borgo osservando la linea delle mura etrusche che ancora oggi lo abbracciano, poi punto il muso dell’aereo verso Firenze.

“Fiesole, più antica di Firenze, custodisce le sue radici etrusche e romane ricordando a ogni visitatore che la storia di una città inizia sempre da lontano.”

Sorvolo di Fiesole (foto da Flight Simulator 2024)

Firenze: tra arte e storia

Firenze si apre davanti a noi, rivelando il suo profilo unico e inconfondibile. Il Duomo, il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni spiccano e sembrano dipinti su una tela perfetta, incorniciati dall’Arno che brilla sotto il sole mattutino.

Restiamo in silenzio per un momento, rapiti dalla vista.

Mentre ci avviciniamo alla Cupola del Brunelleschi il mio sguardo rimane fisso su quella meraviglia architettonica. “È il capolavoro di Filippo Brunelleschi” inizio a dire ma Veronika, con la guida ancora aperta in mano, mi interrompe.

“Lo so!” esclama con entusiasmo, sfogliando rapidamente le pagine. “La costruì nel XV secolo ed è ancora oggi la più grande cupola in muratura mai realizzata. Dice qui che per costruirla Brunelleschi ideò tecniche completamente nuove, come il sistema a doppia calotta per ridurre il peso.”

Mi volto verso di lei, imbronciato. “Sembra che la guida sia più informata di me” dico scherzando.

Veronika sorride e continua a leggere, il tono di voce carico di ammirazione. “Nessuno, all’epoca, pensava fosse possibile costruire una cupola così grande. Brunelleschi aveva davvero un genio fuori dal comune.”

“Non si può non essere d’accordo” le rispondo, lasciando che lo sguardo torni sulla cupola che sembra dominare l’intero panorama. “Vederla da qui, così imponente, dà ancora più senso a tutto il lavoro che ha fatto.”

Poco più avanti un intreccio di casette arroccate su un ponte attira l’attenzione di Veronika.

“Guarda, il Ponte Vecchio!”

Non posso fare a meno di sorridere. “Questa la so!” esclamo, fingendo un’aria esperta. “Quello è il Ponte Vecchio, uno dei simboli di Firenze. Fu costruito nel XIV secolo ed è famoso per le botteghe di orafi e gioiellieri che si affacciano sul fiume. E conosco anche una curiosità. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu l’unico ponte di Firenze a non essere distrutto dai tedeschi. Pare che sia stato Hitler stesso a ordinare di risparmiarlo.”

Veronika guardando fuori dal finestrino esclama: “Mamma mia quanta gente! Sembra impossibile camminarci sopra.”

“Non è una sorpresa” rispondo. “È uno dei luoghi più iconici della città, sempre pieno di turisti e artisti di strada.”

“Ora guarda là” dico, inclinando leggermente l’aereo per un passaggio più ampio sopra il centro. “Quella è Piazza della Signoria, il cuore politico di Firenze fin dai tempi della Repubblica. Il Palazzo Vecchio, con la sua torre, ha visto secoli di storia, intrighi e grandi decisioni.”

“Bellissima” osserva Veronika.

“Là in fondo invece c’è Santa Croce” aggiungo, indicando la grande basilica. “Ospita le tombe di alcuni dei più grandi italiani di sempre: Michelangelo, Galileo, Machiavelli. È un vero pantheon laico.”

Continuo la virata e rallento ulteriormente per goderci ancora qualche istante di Firenze dall’alto mentre ci avviciniamo all’Aeroporto di Peretola. “Firenze ha sempre qualcosa che ti cattura” dico. “Nonostante l’abbia vista così tante volte è una città che non finisce mai di stupirmi.”

“Sorvolare Firenze è come sfogliare un libro di storia e arte: ogni cupola, torre e piazza racconta secoli di genialità e bellezza.”

Duomo di Firenze (foto da Flight Simulator 2024)

Atterraggio e preparativi

Riduco gradualmente la velocità, lasciando che l’aereo scivoli dolcemente verso la pista. Un attimo di sospensione, poi il suono familiare del carrello che aderisce all’asfalto. Il motore ruggisce appena quando le ruote toccano terra con un leggero sobbalzo. La prima tappa del nostro viaggio è ufficialmente conclusa.

Mentre rulliamo verso la piazzola di sosta, lancio un’occhiata a Veronika: ha un sorriso soddisfatto. “Primo volo perfetto” commenta. “Siamo ufficialmente in viaggio.”

“E adesso tocca alla parte più noiosa” aggiungo scherzando mentre scendiamo per iniziare le operazioni di messa in sicurezza del Cessna 172.

Ci muoviamo con la naturalezza di chi ha già ripetuto questi gesti molte volte. Veronika e io sistemiamo le coperture mentre, con mia sorpresa, Skippy si dà subito da fare afferrando con le zampe i cunei e spingendoli sotto le ruote con espressione concentrata.

“Ma guarda chi sta prendendo il suo ruolo sul serio” esclamo, osservandola con un sorriso. “Forse abbiamo trovato una perfetta addetta alla sicurezza!”

Skippy inclina il muso con aria compiaciuta, poi si batte le zampe sul petto con fierezza, facendo scivolare leggermente gli occhialoni da pilota che tiene sempre poggiati sulla testa. Veronika ride mentre lei si affretta a sistemarseli come se nulla fosse successo.

Mi sorprendo a pensare a quanto sembriamo già una squadra affiatata. È solo la prima tappa eppure ognuno di noi sta già trovando il proprio posto, come se tutto fosse perfettamente sincronizzato. Mi scappa un sorriso: è un bel modo di iniziare questa avventura.

Finito tutto mi asciugo la fronte con il dorso della mano e guardo Veronika. “Tutto pronto!” annuncio con entusiasmo. “Andiamo, Firenze ci aspetta.”

“Il primo volo è concluso ma ogni atterraggio è solo l’inizio di una nuova avventura.”